Nelle sue "Letture trentine e altoatesine" il compianto Alexander Langer riconosce l'unicità del genio politico e sociale di Michael Gaismayr, l'agitatore della rivolta contadina che animò le speranze degli ultimi nel Tirolo di inizio '500. Siamo negli anni '20 del XVI secolo e gli echi della Riforma Luterana non si sono affatto spenti, alimentando la ribellione contadina all'interno dei confini del Sacro Romano Impero Germanico. Se l'insurrezione venne dettata, all'inizio, da rivendicazioni di carattere teologico e dottrinale, di cui il "Manifesto di Praga" fu un esempio, solo successivamente la battaglia assunse i colori della guerra anche sociale, come inscindibile trait d'union tra la riforma religiosa - anche dei costumi - e il necessario riconoscimento dei diritti economici del bistrattato ceto contadino. In Germania l'insurrezione capeggiata da Thomas Müntzer venne decapitata a Frankenhausen e poi, con la testa dei suoi agitatori, a Mülhausen solo nel 1525. Anche nel Tirolo Gaismayr sognava una società egualitaria, non solo dinanzi a Dio, ma soprattutto nella possibilità di emancipazione collettiva ed individuale. Questo disegno utopico, molto simile a quello che qualche anno più tardi il calabrese Tommaso Campanella avrebbe tracciato nella sua "Città del Sole", prevedeva - ci ricorda Langer - "la fine dei privilegi feudali del clero e della nobiltà, uno sforzo collettivo per l'istruzione del popolo, il risanamento economico basato sulla socializzazione delle miniere, sulla bonifica delle palude e su nuovi rapporti paritari tra campagna e città; un ordinamento politico spiccatamente democratico, con l'armamento del popolo al posto dei mercenari". Nel Landesordnung, oltre a disposizioni di carattere generale, troviamo anche direttive specifiche, alcune delle quali nel campo della frutticoltura, silvicoltura e viticoltura. "… che i vigneti brulli - si legge nel documento - vengano coltivati ad arte e quindi venga prodotto il vino Lagrein rosso per gli anni a venire come viene fatto in Italia". Nel 1370 l'Imperatore Carlo IV di Lussemburgo aveva vietato ai suoi soldati il vino Lagrein Dunkel, corposo ed impenetrabile, con una decisa propensione ad annebbiare la lucidità dei combattenti. Molto meglio per loro bere vini ottenuti da uve "sclave", la Schiava, perché più freschi e aciduli e decisamente meno strutturati. "Omnia sunt communia" era il principio che animava le sollevazioni primo-cinquecentesche: nel tutto era compreso anche il vino, ovvero il contributo benefico, liberatorio e conviviale che esso reca con sé. Gaismayr chiese a gran voce che del Lagrein, ormai appannaggio di soli nobili, vescovi e abati del circondario di Gries - sua terra d'elezione - , ne potesse godere anche il popolo minuto. Un'istanza programmatica apparentemente interlocutoria e accessoria, ma che in realtà nascondeva il potere rivoluzionario che il vino, ancora oggi, imprime alla sua stessa identità.
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