
Particolarmente oniriche le opere - soprattutto le ultime in ordine cronologico - e le visioni esterrefatte della sua personalità complessa e poliedrica, fortemente contemplativa, comunicativa e imbevuta di studi classici - si è maturato al Liceo Classico - nonché filosofici e letterari - ha conseguito la laurea in Lettere Moderne, indirizzo artistico, dopo aver frequentato la facoltà di Filosofia presso l'ateneo di Salerno.
I suoi disegni colgono l'incontenibile e insostenibile leggerezza dell'essere, tanto per parafrasare lo scrittore Milan Kùndera.
I suoi "incubi", ad occhi sempre aperti, si stagliano su di un profilo di ansia e di irrequietezza, fortemente parossistiche.
Ma passiamo ora meglio alla descrizione - anche se non "in toto" - della sua artisticità in una lunga carriera, sempre in alto.
I quarantotto quadri presenti alla mostra riecheggiano un cromatismo "pessimista" e assai personale, che sembra cogliere il nervosismo e l'inquietudine del "secolo breve", il XX, verso il secolo "brevissimo", come definiremmo il nostro XXI.
Un geometrismo acuto, trasudato di dolore e coscienza della caducità , della mortalità umana, triste nel suo soffrire.
In "Figura", 1995, prevalgono il giallo e il rosa, sgargianti, tendenti al rosso in un binomio di figure malinconiche di risata e cupezza, tenerezza (infinita).
Ne "Il picchio verde" (2008), sempre tempera e/o acrilico, vi è il tema di un'allucinata speranza, conchiusa in un uccello vispo, eppure sconsolato, pieno di angoscia, carico di tutte le maledizioni del mondo.
L'insieme dei quarantotto quadri il pittore Liguori lo ha definito un voler attuare dei "collage", infatti proprio la tecnica del collage è presente - vivissima - in alcuni manufatti di pregevole fattura, realizzati da Liguori: sono quelli che (ci) colpiscono di più...
L'astrattismo è presente in un bel rosso, pompeiano nella sua tela del 2009, intitolata: "Carnevale" in cui la maschera esprime la sua concettualità di sovvertimento del Kosmos (l'ordine) a favore del Caos (il disordine) che fa trepidare l'umanità .
Il Nostro, figlio d'arte di Salvatore, altro notissimo figurativo - ha iniziato nel 1984, quando non aveva che 16 anni, in una lunga dedizione all'arte, seguendo le orme e la falsariga del pur affermato genitore.
L'identità dell'uomo che gli grida dentro - come il personaggio "protagonista" de "L'urlo" di Munch, in alcune sue realizzazioni - sottende all'attualità stranita e strampalata soprattutto nei collage, a iosa nella retrospettiva; oggetti deformati eppur geometrici colorano le immagini, fortemente narrative, che emergono da un fondo di asprezza e disincanto, o disinganno dall'inganno dell'arte...
Plastiche ed ossessive le figure ambigue da Vincenzo Liguori negli altri suoi non ariosi quadri.
Richiami classicheggianti, mitici, rivivescenti all'Odissea e a Dante (il Dante infernale, non quello della "poetica dell'Ineffabile", cioè il cantore del Paradiso...) nonché alla "metamorfosi" kafkiana.
Infine, sono da segnalare, insieme alle altre belle opere, immagini in crisi di identità , attonite, in un universo vivacemente colorato e popolato.
Soprattutto Liguori gioca sul "problema" del "doppio di sé" e della "depressione" (per la quale l'arte è catartica, esorcizzante).
Il 18 aprile la mostra era affollatissima di persone, tra cui molti curiosi, altri celebri artisti e soprattutto parenti e amici della famiglia Liguori.
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