Durante la vernice, riguardo un tipo di arte denominata “unmonumental art”, abbiamo avuto modo di rivolgere la parola all’artista “titolare” della personale, scambiando così qualche commento sul suo modo di intendere appunto l’emozione dell’arte e su ciò che voleva esprimere nelle sue opere.

 

Tele dal taglio particolare, diremmo “avanguardistico”, che ci hanno interessati e convinti. Opere che piaceranno sicuramente alla gente che – incuriosita dalla peculiarità del “segno” di tale “pittore” – decideranno di visitare la mostra…

Perché l’arte moderna, quale la sua funzione/missione?

“L’arte moderna e noi siamo figli del nostro tempo, di questa società iperproduttiva e iperconsumistica, ricca di rifiuti ma soprattutto incapace di cogliere il bello nelle cose che non si fanno conoscere, scoprire.”

“Il motivo dell’attualità dell’arte moderna – spiega Amato – sta nel fatto che essa punti l’occhio sui problemi che attanagliano il mondo stesso, nevrotico, convulso.”

Quali i suoi soggetti preferiti? Quale la scelta dei materiali?

“I materiali da me prescelti sono molteplici: tra questi uso molto le pietre ma anche materiali di risulta, anche computer, chip, materie cartacee, tutto ciò che l’uomo abbandona. In quanto ai miei soggetti più ritratti il discorso si incentra sulla materia primordiale, sulle eruzioni, sugli incendi. Da questo il titolo, il tema della mia retrospettiva.”

Cos’è la “unmonumental art”? Perché ha scelto tale ambito artistico?

“La unmonumental art è una corrente figlia dell’arte povera; essa tratta del collage, dell’assemblaggio, di forme: è un tipo d’arte che mi ha sempre affascinato anche se provengo dalla figurazione; tuttavia la mia espressione pittorica non è del tutto astratta, anzi: intende fissare su tela un problema concreto, una materialità ricca di spunti sociali e di corposo cromatismo.”

Un’arte particolare e per tal motivo indicata nella vita di oggi…

“Sud, Vesevus, Provence”: questo il tema dell’esposizione, interessante per la solidità nella realizzazione dei manufatti, arcani, voluttuosi, esplosivi come il Vesuvio, come l’Etna; soggetti talmente esplosivi da scoppiare in una miriade di colori caldi e ammiccanti oppure neri-verdastri preoccupanti…

I quadri sono nel complesso nitidi, concreti, pignoli e rigorosi, assemblati con estrema cura e perizia.

Grazie a tali “materiali” poveri, umili, del quotidiano, il nostro autore porta sulla tela una carica di energia “repressa” che prima o poi scoppia come un vulcano – appunto il Vesuvio nella sua mediterranea napoletanità – in una “virtuale” (per ora…) eruzione…

La natura ma anche di più (oltre) e di “meglio” nell’ambito delle realizzazioni, tra il figurativo e la sperimentazione (avanguardistica).

Perchè il Vesuvio, perché questo simbolo energico dell’essere napoletano?

La risposta al quesito ci viene fornita dalla curatrice della mostra, la già citata Maria Coppola.

“Perché vi è in Amato e nelle opere che inventa una carica di ribellione da parte della Natura che si volge ormai contro l’Uomo che la ha distrutta; un argomento attualissimo, scottante…”

“L’argomento – dichiara l’intervistata – è attuale sì per la situazione e l’affaire rifiuti a Napoli, ma anche perché lo stesso essere umano è ora diventato una macchina, si è fatto trascinare dal progresso, dalla logica consumistica e quindi ha perso di vista valori, identità, dignità. La nostra società dunque non ha più né spazio né tempo, né Dio né etica.”

Abbiamo poi chiesto alla Coppola: Perché questa mostra proprio a Mercato S. Severino?

“Perché in questo paese l’amministrazione ha rivelato una grande disponibilità verso queste tematiche, come dimostrano gli eccellenti risultati della raccolta differenziata di S. Severino, ma anche perché qui è stata dimostrata una particolare sensibilità verso l’arte.”

Maria Coppola e Raffaele Amato non escludono di “portare la mostra in altre zone, a Salerno, Napoli, forse anche fuori Italia – ha chiarito l’organizzatrice.

La “unmonumental art” è un filone nuovo, alternativo all’arte cosiddetta “monumentale”, dall’artista considerata stabile e “statica”.

Un senso di precarietà pervade le tele di Amato, madide di ribellione (il Vesuvio, “Vesevus”, in latino…), nel Sud di tutto il mondo (“Sud”), nell’ambito della “provincia” (“Provence”, in francese).

Tanti gli oggetti ricchi di quotidianità, a volte a tinte sgargianti, altre più oscuri e raccapriccianti…

Un andamento inquieto e di “rottura” con la “tradizione” (?), cioè con l’arte “convenzionale”, forse “convenzionata”. Un’esplosione di tematiche, un “urlo nero” da parte della natura ferita, poi uccisa, che per noi che scriviamo rappresenta una “sacralizzazione” del superfluo, dell’inutile, di ciò che ha perduto la sua funzione, tutto in totem di spazzatura eloquenti e motivo di denuncia.

ANNA MARIA NOIA

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