Intorno alle 22 di domenica 11 gennaio 2009 le radio italiane trasmettevano all’unisono una delle canzoni più sublimi del genovese de Andrè : ‘Amore che vieni amore che vai’…per ricordare con autentico sentimento la sua morte, avvenuta nel 1999. Un modo certo diverso, sicuramente più gradito al musicista. E adesso è passato un altro anno che ‘Faber’ manca a tutti i suoi fans, a tutti i sentimentali, a tutti coloro che si trovano in contrasto con la logica attuale del successo a tutti i costi, della legge del più forte, della slealtà.
Lo stesso de Andrè non aveva la fama del ‘protagonista’: era schivo, odiava mettersi al centro dell’attenzione, eppure sprizzava carisma da tutti i pori.
Ci sono molti modi per stare dalla parte del più debole, e uno di questi erano sicuramente le canzoni di Fabrizio de Andrè. Spaccati di vita realistici ed insieme poesie dedicate a soggetti ‘insoliti’: gli emarginati. Uno sguardo mai banale, mai di pietà e commiserazione, ma piuttosto uno sguardo attento, critico, non superficiale. De Andrè era di buona famiglia e non era cresciuto in mezzo alla strada, eppure nei suoi versi si riesce a capire come fosse la vita quotidiana degli ultimi della società. Non era l’impeto del classico ‘figlio di papà’ che un giorno decide per noia di fare il ribelle e si cimenta a giustiziere degli oppressi…si può leggere invece una partecipazione silenziosa.
De Andrè introduce nella canzone italiana il modello della ballata e la figura del cantastorie. Vicino alla scuola di Genova, di Tenco, Lauzi e Paoli, giusto per citarne alcuni, si fa influenzare dalla canzone popolare, dai cantautori francesi e ammaliare dal fascino del dialetto, che riverserà in alcune sue bellissime canzoni in una fase più matura. Indimenticati sono tra l’altro i personaggi dell’Antologia di Spoon River di Masters che lui animò in musica, grazie anche alle traduzioni della poetessa Fernanda Pivano, e la collaborazione con la PFM che fruttò un eccezionale tour.
Qundici album e tante storie: personaggi maledetti e poetici,‘Via del Campo’, ‘Bocca di Rosa’, ‘La canzone di Marinella’ ma anche canzoni pacifiste come ‘La guerra di Piero’, di attualità come ‘Don Raffaè’ e ‘La domenica delle salme’, dal sapore folk come ‘Creuza de ma’, di amore-odio con la fede, come ‘I dieci comandamenti’. Giusto una manciata di canzoni prese a caso in quel mare di poesia unica che era il mondo di Fabrizio de Andrè.