La Jugoslavia che fu. Quando nel 1992 il divampare della guerra nei Balcani, che di lì a poco avrebbe condotto all'infame dissoluzione della Jugoslavia, spinse la Uefa ad escludere la selezione calcistica titina dall'Europeo di Svezia, si ebbe immediatamente la sensazione che un'epoca si era drammaticamente chiusa. Il sipario calava sull'Europa e sul verbo socialista, in ossequio alla real-politik dell'Occidente politico e all'insistente alimentarsi del fuoco di nazionalismi mai sopitisi dal tempo del blando dominio Ottomano. Di quel crollo ne fu testimone ed anche vittima il calcio, presto rassegnatosi a veder scorrere i più puri talenti di terra balcanica nei più numerosi rivoli della separazione. Da Prosinecki a Stoijkovic, da Savicevic a Suker, da Boban a Zahovic, ognuno sapeva che non avrebbe più contribuito a difendere insieme all'altro i colori di una sola terra in una manifestazione continentale. La fortuna, o chi per lei, sembrò baciare almeno inizialmente la Croazia, che si ritrovò una nazionale di giovane nascita ma con un superbo mix di talento, entusiasmo ed esperienza in selezione: dopo le prove generali del 1996 all'Europeo inglese, la nazionale con la maglia a scacchi raggiunse l'apice della sua storia calcistica a Francia '98, quando sfiorò una clamorosa finale contro i padroni di casa per poi aggiudicarsi la terza piazza nella finalina contro l'Olanda di Guus Hiddink.
Bosnia e Bosnie. I primi '90 furono gli anni irripetibili della Crvena Zvezda, la Stella Rossa di Belgrado, che vinse a cavallo tra i due decenni cinque campionati su sei ed arrivò, nel '91, alla finale di Coppa dei Campioni contro il Marsiglia di Waddle e Papin, che vinse, dopo aver fatto fuori in semifinale il Bayern Monaco di Kohler e B. Laudrup guidato da Jupp Heynckes. Il declino inesorabile del calcio jugoslavo segnò inevitabilmente la fine della fantastica epopea del team di Belgrado e la divisione del mondo calcistico locale in diverse federazioni. All'inizio la Bosnia si ritrovò a fare i conti con numerose difficoltà tecniche ed economiche: alla carenza di giocatori in grado di fare la differenza sul rettangolo di gioco, si univa un panorama calcistico locale di livello mediocre e la necessità di fare i conti con la morte e la devastazione che la guerra aveva lasciato nel paese. Gli inizi furono stentati ed a tratti umilianti, con la selezione chiamata più ad un ruolo di sparring partner nelle gare di qualificazione che non a quello di avversaria rispettabile, sia pure di basso profilo. Le divisioni etniche, inoltre, continuavano ad andare per la maggiore, con il "problema croato" tuttora vivo anche a livello giuridico e le velleità nazionaliste, sebbene attenuate, di Banja Luka. La svolta iniziò ad arrivare verso la fine del primo decennio del 2000, con il grande sciopero dei giocatori del 2007 che portò al crollo di una Federazione "covo di corruzione e cooptazione etno-politica" (Loic Tregoures, Eurosport.fr). Parallelamente al disegno di riorganizzazione dell'assetto dirigenziale del calcio bosniaco fu avviata anche una politica di potenziamento dei vivai e di valorizzazione di un parco giocatori che, maturando esperienze nei maggiori campionati europei, iniziava ad essere interessante. E la prima chiave di volta arrivò nel 2009, con la nazionale che giunse a giocarsi lo spareggio per i Mondiali di Sudafrica 2010 con il Portogallo, venendo eliminata con un doppio 1-0. Delusione bissata due anni dopo, nella medesima situazione: spareggio ancora con i lusitani e qualificazione della nazionale di Paulo Bento agli Europei di Polonia-Ucraina 2012. Ma la consapevolezza che il vento fosse cambiato ha condotto la nazionale bosniaca ad ottenere la prima, storica qualificazione ad una rassegna continentale per nazionali nell'ultima occasione: primato nel gruppo di qualificazione ai danni della Grecia e pass staccato per i Mondiali di Brasile 2014. Il rinnovamento calcistico sembra essere altresì il portato del risveglio di un popolo dal torpore narcotizzante nel quale era precipitato dopo gli accordi di Dayton. Proteste e sommosse si susseguono, infatti, da diversi mesi in tutto il paese, per dire no all'ondata di privatizzazioni voluta da una macchina statale arrugginita e rallentata dalla storica divisione tra Repubblica serba e Federazione croato-bosniaca di Erzegovina, in sinergia con gli squali dell'Ue.
Verso Brasile 2014. La Bosnia è arrivata alla qualificazione diretta in Brasile dopo essersi classificata al primo posto nel girone ricomprendente Grecia, Slovacchia, Lituania, Lettonia e Liechtenstein. Nella maggior parte delle partite si è schierata con un 4-4-2 piuttosto canonico, laddove brillavano l'estro degli attaccanti Dzeko ed Ibisevic in avanti e del fenomeno Pjanic a dettare i tempi di gioco. Il talento nella squadra allenata da Safet Susic (subentrato a qualificazione in corso all'eroe croato di Francia '98, Blazevic), non è distribuito tuttavia in maniera omogenea. La riprova è stata data dall'impressionante numero di gol segnato in qualificazione, accompagnato ad una tenuta difensiva che spesso è parsa tutt'altro che granitica. Tra i pali Susic può contare su uno dei migliori portieri della English Premier League, Asmir Begovic dello Stoke City, estremo ordinato e provvidenziale quando serve (il Liverpool lo ha cercato fino all'ultimo, salvo poi preferirgli il belga Simon Mignolet). In difesa l'unico giocatore degno della ribalta internazionale è l'esperto Emir Spahic, ex Siviglia ed ora in Germania con la maglia del Leverkusen. In mezzo, oltre al già citato Pjanic, la Bosnia può contare sul 32enne Misimovic, giramondo con alle spalle esperienze in Bundesliga, Turchia e Russia ed oggi a svernare con i cinesi del Guizhou. Misimovic è un giocatore di fantasia abile a giocare dietro le punte, mentre ai suoi lati dovrebbero muoversi Salihovic dell'Hoffenheim (non di rado schierato come laterale sinistro di difesa, potrebbe essere confermato in quel ruolo) ed il laziale Lulic, con il mancino Medunjanin possibile outsider. Inamovibile la coppia d'attacco, con il fuoriclasse Edin Dzeko, fresco campione inglese col City, a far coppia con l'ariete dello Stoccarda Vedad Ibisevic. Ai Mondiali la Bosnia sarà inserita nel Girone G, insieme ad Argentina, Nigeria ed Iran. Facile immaginare una qualificazione tutta appannaggio della selezione latinoamericana di Sabella; per la Bosnia, dunque, diventerà decisivo lo scontro con la Nigeria. Gli africani non possono certo considerarsi all'altezza della talentuosa selezione che stupì ad Usa '94 e Francia '98, ma restano una squadra temibile dal punto di vista atletico, specie sotto le complesse temperature carioca. Ritengo probabile un testa a testa tra le due, con un piccolo margine di vantaggio per la malizia ed esperienza europea della Bosnia e dei suoi giocatori. Attardato invece l'Iran. La selezione di Susic, in caso di passaggio del turno, sarebbe avvantaggiata anche dall'accoppiamento con il Gruppo F, dove Francia, Svizzera, Honduras ed Ecuador sono tutt'altro che insormontabili. La prima volta della Bosnia, dunque, potrebbe davvero essere storica. In tutti i sensi.