
Da Schwyz ed Unterwalden a Schwarzenbach. "L'eccesso nuoce" parrebbe un motto particolarmente adatto alla morigeratezza tipica degli elvetici, per di più senza alcuna apparente ed ulteriore implicazione, specie se di inquietante connotazione. In realtà la chiosa rappresenta un segmento dello slogan col quale l'Udc, l'Unione Democratica di Centro svizzera, ha proposto il referendum popolare per dire "Basta all'immigrazione di massa", specie quella italiana. La consultazione popolare, andata in scena lo scorso 9 Febbraio, ha peraltro promosso l'iniziativa del partito elvetico, rendendo evidenza ad un sentimento di insofferenza allo straniero piuttosto diffuso nel popolo rossocrociato, rinfocolato dalla propaganda della destra xenofoba, ed impennatosi soprattutto negli ultimi anni. Il refrain promosso dai conservatori d'oltralpe frulla le parole d'ordine del populismo in onda ad ogni coordinata del mondo globalizzato: l'incapacità di far fronte ad una popolazione forestiera improvvisamente divenuta "troppo numerosa" e l'esigenza di preservare le radici autoctone dal pericolo di contaminazione portato dall'ospite divenuto ben presto sgradito. In realtà il populismo svizzero, rafforzatosi sull'onda lunga della formazione di blocchi capitalistici univoci in gran parte della fortezza Europa, affonda le proprie radici nella propaganda propugnata da James Schwarzenbach, leader dell'Azione Nazionale svizzera, l'Ãœberfremdung, movimento che nei primi '70 si opponeva veementemente all'inforestierimento. Gli strali di Schwarzenbach erano diretti, tra gli altri, anche alla numerosa colonia italiana presente oltralpe, specie nei cantoni vicini alla frontiera, e soffiavano sovente sul fuoco della contrapposizione operaia su base nazionalistica, uno dei leit-motiv del neoliberismo di fine Novecento. Nella consultazione dello scorso 9 Febbraio, il 68% degli aventi diritto al voto nel Canton Ticino ha espresso parere favorevole all'iniziativa dell'Udc, facendo registrare la più alta percentuale di "Sì" della Confederazione Elvetica. Se il progetto dell'Azione Nazionale non riscosse successo, oggi quei dettati paiono aver trovato realizzazione grazie alla votazione popolare di inizio anno, con la potenziale possibilità di essere recepiti nell'architettura costituzionale svizzera. Quando il re di Francia Enrico IV, nel 1598, emanò l'Editto di Nantes a chiusura delle Guerre di Religione transalpine, una congerie incalcolabile di ugonotti francesi abbandonarono i confini nazionali per fare le fortune dell'Olanda e della vicina Confederazione Elvetica. La diaspora umana provocò una gravissima emorragia ai flussi economici del Regno di Francia, visto che la stragrande maggioranza di transfughi era rappresentata da esponenti dell'alta e media borghesia artigiana e mercantile, conformata alla pragmatica etica della predestinazione di stampo protestante: solo il tardo Editto di Fointainebleau pose finalmente fine a quello scempio. Analogamente al re Borbone, oggi in molti sembrano dimenticare il contributo apportato dai lavoratori stranieri alla florida economia elvetica, e non da meno quello degli italiani emigrati oltre Ticino. La Svizzera è nata dai puntini infinitesimali dei cantoni di Uri, Schwyz ed Unterwalden all'alba del '300 sotto la spinta accentratrice delle combattive comunità alpine di artigiani e montanari, antesignani della moderna fanteria e spesso al soldo di principi e sovrani che li addestravano come mercenari. Capaci, viepiù, di fermare la straordinaria impresa di Charles le Téméraire, l'uomo chiamato a creare uno stato tutto borgognone. Oggi quel paese vuole a tutti i costi difendere le sue radici con l'unico modo che sembra conoscere: quello di dimenticarle.
La via del gol. La scuola calcistica elvetica è in prepotente ascesa da una decina d'anni circa, in compagnia di quella dei cugini austriaci. All'aurora del nuovo millennio, infatti, la Federazione elvetica decise di implementare e potenziare il lavoro sui vivai nazionali. La cura si formalizzò con la richiesta alle squadre di club di adottare precise linee guida in materia di gestione dei settori giovanili. Al rilancio dei vivai si affiancò ben presto un processo di occidentalizzazione calcistica ben delineato, con l'invio dei tecnici in rampa di lancio all'estero e, soprattutto, la nascita dei Centri di Formazione Federali, nati nel Canton Ticino di lingua italiana, nella francofona Romandia e nella teutonica Emmen, sul modello degli omologhi sviluppati nella vicina Francia. L'esordio mondiale del 1994 negli States aveva consegnato agli occhi degli appassionati una Svizzera acerba e al tempo stesso senza importanti prospettive di crescita, dinamiche forse in parte occultate dall'approdo agli ottavi di finale (sconfitta netta 3-0 contro la Spagna, poi eliminata dall'Italia di Roberto Baggio). I primi frutti delle politiche calcistiche rossocrociate cominciano ad essere colti nel 2006, dove la Schweizer Nati vince senza grosse difficoltà il girone eliminatorio con Francia, Corea del Sud e Togo, segnando quattro gol e subendone zero. La beffarda eliminazione ai rigori contro l'Ucraina, negli ottavi di finale, segnerà un Mondiale conclusosi forse troppo prematuramente, con un'eliminazione maturata con pochi gol all'attivo e, soprattutto, zero nella casella dei passivi. Il problema, lungi dall'essere risolto, specie dopo la deludente eliminazione nell'Europeo casalingo del 2008, si ripropone nel Mondiale sudafricano, dove i rossocrociati esordiscono col botto, battendo i futuri campioni iridati della Spagna per 1-0, salvo poi soccombere con lo stesso punteggio di fronte al Cile ed impattare 0-0 col modesto Honduras, pareggio che segnerà il precoce ritorno nei Cantoni. Nella rassegna brasiliana, dunque, la nazionale elvetica sarà chiamata a fare i conti con il tarlo delle ultime due partecipazioni, ossia la difficoltà quasi innata nell'andare a rete. E, se nelle precedenti edizioni la selezione d'oltralpe non ha potuto contare su una batteria di attaccanti col goal nel sangue, fatta eccezione per il vecchio e discontinuo Alexander Frei, oggi può presentarsi ai nastri di partenza con una serie di giovani stelline partorite da una gestione lungimirante dei vivai nazionali, la stessa che portò gli svizzeri a trionfare nel Campionato Mondiale Under 17 del 2009, davanti alla Spagna di Morata, Isco e Muniain.
Brasile 2014. La prospettiva di melting pot inaugurata nel mondo sportivo elvetico sembra farsi beffe delle velleità reazionarie della politica locale. Dei 23 convocati dal volpone Ottmar Hitzfeld, infatti, in molti hanno origini che vanno al di là dei confini dello stato alpino. Behrami, Xhaka e Shaqiri non nascondono, sin dal cognome, i loro natali kossovari; in Rodriguez scorre sangue iberico; Dzemaili ha origini macedoni, mentre i Balcani hanno dato i natali a Drmic (Croazia) e Seferovic (Bosnia); Gokhan Inler è figlio della mezzaluna turca. Dopo il passo falso di Sudafrica 2010 e, soprattutto, la fallita qualificazione agli Europei del 2012 in Polonia-Ucraina, Hitzfeld ha deciso di lanciare la nuova nidiata di talenti sfornata dalla nuova, feconda scuola calcistica locale. La batteria di trequartisti si è arricchita con l'inserimento prima graduale e poi imprescindibile di Valentin Stocker, ancora in patria col Basilea, e soprattutto Xherdan Shaqiri, talento non ancora definitivamente sbocciato al Bayern Munchen, vuoi per l'insostituibilità di mostri sacri del calibro di Robben e Ribery, vuoi soprattutto per una serie di acciacchi fisici che ne stanno minando seriamente il salto di qualità decisivo. La batteria di attaccanti, con l'addio di Frei e l'involuzione di Streller, è stata radicalmente rinnovata con gli innesti di Haris Seferovic e, in particolare, dell'ariete Josip Drmic, da poco passato dal Norimberga al Leverkusen. La Svizzera scende in campo con un assetto molto ben definito: una sorta di 4-2-3-1 piuttosto omogeneo, dove buona parte della qualità della manovra dipende dall'eccellente coppia di terzini a disposizione. Stephan Lichtsteiner non fa mai mancare l'esperienza maturata negli anni italiani, proponendosi spesso in appoggio offensivo e, soprattutto, garantendo una fase di copertura degna di un terzino vecchia scuola. Dall'altra parte, Ricardo Rodriguez si segnala come uno degli specialisti del ruolo nel panorama europeo. Terzino moderno, che abbina corsa ad una buona capacità tecnica, il giocatore del Wolfsburg ha già mostrato di saper essere decisivo con i due assist forniti per la vittoria inaugurale contro l'Ecuador. La sua valutazionr pare aver già sfondato la soglia dei 15 milioni di euro: una cifra che sarebbe ben spesa per un calciatore in grado di assicurare corsa nel breve e nel lungo ed una eccellente capacità al cross: WhoScored, il sito dedicato alle statistiche calcistiche, lo piazza nella top five europea per rendimento, in compagnia di Ronaldo e Suarez. Al centro della difesa Hitzfeld ha evidenziato di preferire l'esperienza e l'ordinarietà di due atleti come Djorou, meterora definitiva scuola Arsenal, e Von Bergen alla freschezza di Fabian Schar. I due mastini della mediana sono i giocatori del Napoli Inler e Behrami, in grado di coniugare buona copertura ad un discreto senso geometrico. In realtà la cerniera a protezione della difesa appare l'anello debole della selezione: Inler pecca in dinamicità sia in non possesso che con la palla tra i piedi, mentre Behrami sembra aver pagato il periodo di inattività partenopeo piuttosto prolungato (e ieri, al di là dello strappo decisivo sul goal vittoria, è parso il peggiore in campo). Proprio per questo Granit Xhaka, il trequartista centrale alle spalle della punta, gioca spesso in appoggio al centrocampo. Xhaka, talento innato che purtroppo nel Borussia Monchengladbach pare aver arrestato la sua prepotente ascesa (sarebbe bene che qualcuno lo rilanci...) semplifica e razionalizza le giocate dei suoi: da mezzapunta, non attacca lo spazio davanti al centravanti, ma viene incontro ai due mediani per fare densità intorno alla palla, sopperendo al tempo stesso alle lacune nei tempi della coppia napoletana. Shaqiri e Stocker, i talenti sugli out esterni della Svizzera, tagliano proprio per questo motivo molto spesso al centro, lasciando la corsia libera alle prepotenti avanzate dei due terzini. A possesso consolidato, infatti, gli esterni si accentrano spesso in transizione positiva, anche per sfruttare le buone doti tecniche e balistiche a disposizione. Il ruolo di centravanti, nella fase di qualificazione, è stato spesso ricoperto da Seferovic. Nella partita contro l'Ecuador, tuttavia, i galloni da titolare sono spettati a Josip Drmic, atleta in prepotente ascesa. Drmic fa del fisico il suo punto di forza, al quale unisce la propensione piuttosto attiva a partecipare al gioco. E' un giocatore che, problemi permettendo, può arrivare lontano, almeno fin dove è arrivato Mario Mandzukic, col quale condivide peculiarità e sangue croato. Quali possibilità ha, dunque, la selezione svizzera in questo Mondiale? Di passare il turno molte, oltre il 90% ormai. Il prosieguo della kermesse dipenderà molto anche dagli incroci. La nazionale rossocrociata, al top della forma, è squadra brillante: ha idee chiare, sa come muovere la palla, mutua molti principi ed atleti dalle squadre di club più rappresentative. Forse soffre in copertura, specie sul lato debole, visto che i terzini sono spesso costretti a stringere al centro in mancanza di un volante in grado di aiutare i centrali sulla loro linea. Con un buon accoppiamento (ad esempio, Bosnia o Nigeria), il traguardo dei quarti non sembra impossibile. E sarebbe un nuovo passo in avanti.