
Il rischio indotto da alcune circostanze è quello di scadere nella banalità più scontata, con lo strascico del trasporto, anche sentimentale, inevitabilmente stonato per la natura della realtà. La verità, nemmeno tanto banale a questo punto, è che la debacle iberica nel Mondiale carioca era già scritta in quello strano volume solido che è il destino. Anzi, è sembrata quasi voluta. Sì, perché il primo a volerla ad ogni costo, seppur senza quasi accorgersene, è stato il suo entrenador, don Vicente Del Bosque, finito per essere abbagliato dalla luce di molte sue stelle ormai giunte all'implosione definitiva della loro vita calcistica. Le convocazioni delle essenze ectoplasmatiche del neo australiano David Villa e di Fernando Torres, uno che ha sbarrato la sua carriera ad alti livelli in un modo drammaticamente precoce, ne rappresentano la strada maestra. La decisione di insistere su un tiqui-taca sempre più conservativo e, questa volta sì, noioso, non poteva prescindere dalla buona stella del vice-capitano Xavi Hernandez, la cui testa e le cui tasche sono da tempo pronte ad abbeverarsi alla fonte dorata delle spiagge della Penisola Arabica. Nemmeno la selezione dei comprimari è sembrata ispirata da affidabili pillole di saggezza. Alla freschezza sfrenata di Carvajal si è preferito un improbabile Azpilicueta, nello stesso ruolo dove lo scatenato Juanfran di quest'anno ha collezionato zero minuti in due partite. Il passo felpato catalano, unito alla morte motivazionale di una rosa svuotata dagli aneliti di trionfo, avrebbe incontrato un nuovo ostacolo nell'infernale clima tropicale sudamericano. Servivano meno tocchetti estetici, bastavano più gambe in palla, tipo quelle di Isco. Occorrevano teste lucide, pensanti e pesanti, tipo quella di Fernando Llorente, ed un Navas a scodellargli traversoni. Si è preferito privare il Brasile dell'impresentabile Diego Costa, un 28enne reduce da una sola stagione di livello. Un favore quasi ai verdeoro, per di più costellato dagli sberleffi che la torçida ha rivolto al novello traditore. Passerà. Quello scettro per ora va ceduto, così è stato. Ma il serbatoio iberico pullula di nuove riserve. Non è la fine. Ciò che è stato non sarà, ma in fondo c'è sempre gusto a ripetere l'irrepetibile. Questo gli svogliati interpreti del copione brasileiro dovrebbero averlo capito. Servono nuovi attori, già pronti in rampa. Il problema, come sempre, sarà degli altri. Ma domani, c'è tempo. Ora è bene riporre quello scettro, per il solo gusto di godersi questa uscita di scena. Ancora una volta, irripetibile.