
L'iniziativa che l'Associazione Culturale Onlus Alfonso De Caro, con l'appoggio dei dirigenti delle scuole della Valle dell'Irno ha promosso, prevede una serie di incontri tra i ragazzi delle scuole medie e persone a vario titolo impegnate in case di accoglienza per minori e/o tossicodipendenti ed è nata con lo scopo di far si che il Premio Alfonso De Caro possa rappresentare un momento serio di riflessione su tematiche attuali.
Il tema del Premio intitolato al missionario originario di Lancusi e scomparso in Brasile nel 1977, sul quale i partecipanti sono invitati ad esprimersi attraverso racconti, poesie, testi di canzoni, pagine di diario, brevi componimenti, testimonianze, disegni, fotografie, lavori multimediali, lavori manipolativi ecc. è "E se fossi io ...?". Ai ragazzi è chiesto di immedesimarsi nell'altro, di svestirsi di se stessi per guardarsi intorno con occhi diversi, a interrogarsi su come sarebbe la propria esistenza nei panni di qualcun altro.
Uno sguardo all'altro che non rimanga sterile ma possa rappresentare l'occasione per ascoltare, per porgere la mano, per prendersi cura dell'altro, come fanno tanti missionari di oggi ossia persone che quotidianamente spendono la loro esistenza tenendo per mano chi vive nel disagio, che è caduto nel baratro della tossicodipendenza, chi vive in solitudine.
Ed è per questo che l'Associazione ha invitato alcuni responsabili di case di accoglienza per minori, affinché incontrassero i ragazzi e raccontassero loro, la propria quotidiana missione. Una testimonianza diretta di chi ha imparato ad ascoltare, di chi sa prendersi cura, di chi sa tendere la mano.
Nel raccontare la propria esperienza ai ragazzi delle terze medie della scuola Cap. D. Somma di Piazza del Galdo, suor Margherita ha sottolineato l'importanza della famiglia come cellula vitale nella quale ciascuno ha il diritto di vivere. Una famiglia sana, di genitori che sanno prendersi cura dei propri figli. Ma spesso per molti bambini non è così. La solitudine, il disagio prendono il sopravvento. Ed è a questo punto che entrano in gioco le comunità come quella presso la quale suor Margherita, insieme a tanti altri volontari, è impegnata, e a cui questi bambini vengono temporaneamente affidati.
"Io mi sento la mamma di questi bambini", ha detto suor Margherita, "perché nel periodo che trascorrono in comunità , io mi prendo cura di loro".
Un impegno quotidiano, costante, che si traduce in una carezza, in un abbraccio che per tanti bambini rappresenta la serenità tante volte sognata.
"Non bisogna andare lontano per aiutare gli altri", ha continuato suor Margherita, "né immaginare di essere qualcun altro. Basta essere se stessi e magari chiedere al proprio compagno di banco perché è triste, oppure andare a studiare a casa dell'amico di classe che è in difficoltà , o dedicare un po' del proprio tempo ai nonni." Non è poi così difficile, ha concluso suor Margherita esortando i ragazzi a riflettere sulla propria esistenza, sulla propria storia, che non si cancella con il cassino come una parola errata scritta alla lavagna, ma resta scritta per sempre, sia essa positiva o negativa, bella o brutta.