"Tutti sanno, cioè, che un clown dev'essere malinconico per essere un buon clown, ma che per lui la malinconia sia una faccenda seria da morire, fin lì non arrivano". La malinconia, il rimorso, i tarli della mente, i fantasmi del passato: tutti questi mali sembrano attecchire all'anima inquieta di Hans Schnier, professione clown, in una Bonn distratta, tutta presa dall'illusione di dover correre in avanti per nascondere un recente passato terribile. Stiamo parlando di uno dei classici più intensi della narrativa tedesca del dopoguerra: "Opinioni di un clown" di Heinrich Böll. Ambientato in un appartamento di Bonn, in un arco temporale di tre ore circa, Hans Schnier riflette sul fallimento della sua storia d'amore con la ultracattolica Maria e sul suo conseguente insuccesso lavorativo. In questo periodo di tempo i pensieri di Hans si intrecciano con alcune interessanti conversazioni telefoniche in cui, con battute salaci e con un linguaggio asciutto e quasi al limite del banale ma non per questo meno attento ai particolari, emerge la falsità e la fitta rete di imposizioni a cui gli individui si dispongono più o meno consapevolmente pur di appartenere e di figurare in un certo modo in società. La penna di Böll, ironica e graffiante, prende di mira attraverso il circolo cattolico che Maria frequenta e che osteggia il rapporto di "concubinato" in cui i Hans e Maria vivono, non tanto la fede religiosa in sé quanto i dogmi imposti che non permettono di mettere al primo posto la propria morale di essere umano. La famiglia stessa di Hans, molto ricca e protestante, soffre della stessa malattia dei membri del circolo e del resto della società tedesca dell'epoca: il falso perbenismo, che nasconde le ferite di una recente guerra in cui nulla si è fatto per evitare la tragedia. Hans non perdona i suoi genitori per aver mandato a morire l'amata sorella Henriette nella Flak e per aver fatto mancare a lui e a suo fratello Leo - nel frattempo convertitosi al cattolicesimo - quanto avrebbero potuto godere poiché in una posizione privilegiata. La morale cattolica, in cui si impone la monogamia, ma poi si crea un alibi per non rispettarla, in cui si distorcono e amplificano i dettami lontani dalla realtà, è crudamente rivelata proprio da un clown, che in tutta la faccenda assume i contorni dell'unica persona seria e profondamente umana quanto disperata. L'Hans/Clown che si dichiara monogamo, è l'unico in grado di togliersi la maschera e raccontare le ipocrisie della società - esprimendo appunto le sue "opinioni"- è l'anarchico che tuttavia dimostra un adesione coerente ai princìpi della vita e dell'amore: la stessa Maria finirà per preferire a lui il cattolico Züpfner, perché non in grado di sopportare le malelingue che accompagnavano la loro storia, per l'incapacità di Hans di piegarsi a quanto la società dell'epoca imponeva. Scritto nel 1963, "Opinioni di un clown" è una delle opere più cupe di Böll: sullo sfondo della triste vicenda di Hans Schnier, si esalta la presenza di una Germania che corre verso la ricostruzione post-bellica. Una ricostruzione più materiale che morale: il bigottismo, la costante preoccupazione per il benessere economico, l'ostentazione di una pseudo-cultura evincono una malcelata indifferenza per l'adesione convinta al nazismo. Insomma, la Germania post-nazista aveva soltanto cambiato maschera, ma erano rimasti intatti i princìpi e i valori che la guidavano. Abbandonato da Maria, l'unica donna che voleva al suo fianco, dalla famiglia, ad Hans, che altro volto non ha che la sua maschera malinconica di clown, altro non resta che andare incontro al suo destino, attendendo come un mendicante sulle scale della stazione di Bonn il ritorno di Maria - ormai la vera adultera della vicenda - dalla luna di miele con il suo nuovo marito. Heinrich Böll, pacifista fin dalla prima ora, è stato uno dei pochi intellettuali ad aver rifiutato negli anni '30 l'iscrizione alla gioventù hitleriana e le sue battaglie civili in Germania, spesso gli si sono ritorte contro. Insignito nel 1972 del Premio Nobel per la Letteratura, può essere considerato uno dei massimi esponenti della letteratura tedesca del dopoguerra: per lui e i suoi eroi emarginati in una società che corre all'impazzata verso il futuro dimenticando il passato, è stato coniato il termine "Trümmerliteratur" (Letteratura delle macerie): Hans Schnier, col suo viso imbiancato di biacca, rappresenta l'archetipo di chi viene escluso dalla società perché riesce a scoprirne i suoi meccanismi più perversi, i suoi gangli segreti. Un eroe moderno che vive di attimi, di realismo e accetta di inabissarsi col suo dolore.
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