Vi mancava da quando aveva conseguito il diploma di ragioniere. Conscio delle difficoltà di impiego nella sua zona, aveva emigrato nell'Europa del Nord. Per tutti gli anni era rimasto legato al suo lavoro di contabile come naufrago alla ciambella di salvataggio e poco, per verità , si era curato degli affetti e dell'ambiente che in Italia aveva lasciato.
Qualche rimorso di tanto in tanto ma niente di più, forse per gli scarsi mezzi finanziari o per gli impegni quotidiani di lavoro. Ora, però, improvvisamente aveva desiderato ardentemente di ritornare nei luoghi natii e constatare se " anche le piccole cose'' che succedono nella fantasia erano divenute " gesta e trionfi''.
Con i suoi tenui sentimenti, prepotentemente rifioriti, Vincenzo Sica volle compiacersi di riprovare la purezza delle emozioni adolescenziali, di ripercorrere la strada ferrata degli anni degli studi, assaporando colori e profumi di una terra che per la verità negli anni trascorsi non era rimasta sempre all'apice dei suoi pensieri.
Dopo quarantotto anni Vincenzo Sica tornò a Salerno, parcheggiò la sua fiammante auto e volle ripercorrere in treno il tratto ferrato che da Salerno lo portava a Fisciano, alla stazione di Lancusi, intenzionato, peraltro, a ripercorrere anche a piedi, proprio come aveva dovuto fare negli anni di studio, il tratto di strada che solitamente percorreva da Fisciano alla stazione per andare a Salerno e viceversa.
Gallerie, paesaggi familiari alquanto trasformati e, finalmente, il treno fu nella stazione di Fisciano, a Lancusi. Con lui scesero dal treno diversi giovani con borsoni e valigie.
Una volta fuori dalla stazione Vincenzo Sica potè ammirare un vasto paesaggio, tanto diverso dal mondo delle carrette e delle bestie che, ai suoi tempi giovanili, scalpicciavano sullo sderrato della via, costeggiata allora da ininterrotti campi sapientemente coltivati. Ora, invece, palazzi ai due lati si stendevano lungo tutto il viale che si snodava per circa un chilometro.
Marciapiedi, alberi graziosi e fioriti, illuminazione moderna, il manto d'asfalto ben levigato, caffè con tavoli all'aperto, negozi, spazi a giardini, panchine...un enorme patrimonio civile, forse risultato di " un'epopea'' di ardimento o di fortuna che probabilmente aveva anche gonfiato le vele del galeone di più di un imprenditore.
I palazzi allineati si erano sostituiti ai campi. Non c'erano più i meli, i peschi, i mandorli, i tralci delle viti, le siepi cariche di rovi, di more, di reticolati. Non più i prati, anche i colori e i profumi del tempo erano diversi. Pur tuttavia un mormorìo di piacere e di compiacimento sembrò uscire dall'animo e dalle labbra di Vincenzo.
Era il mondo che lo aveva allevato e svezzato con natura sarcastica e virile ed ora, riprensiva e sobria ispirava una certa soggezione, donando facce scolpite nel bronzo ad altri che facevano la storia...
Certamente però non sembrava che quella dolcezza di vivere fosse stata preda della violenza...
Vincenzo Sica, respirata profondamente l'aria balsamica, si incamminò con passo deciso e non gli sembrò che il corpo fosse rattrappito dal peso dell'età .
Gli ampi marciapiedi su cui svettavano alberi e servizi, gli consentivano di mirare ed ammirare quanto era intorno: rosticcerie, negozi, spazi a parcheggio ben curati sorti al posto dei terreni su cui Pomona, Vertunno, Flora, Bacco, a gara nelle buone stagioni li arricchivano di preziosi e succosi frutti.
Ricordò che le uniche bianche palazzine esistenti erano state riprese ed attintate decorosamente e tutto appariva molto civile.
Nuove strade intersecavano il viale principale e gioiellerie, panifici ed ogni sorta di commercio attestava la modernità del centro che sembrava popolato almeno dieci volte in più che ai suoi tempi.
Aveva saputo Vincenzo della tragicità del terremoto del novembre 80 che proprio in quel paese, a Lancusi, aveva mietuto vittime, sbriciolando palazzi e scuole, danneggiando enormemente il patrimonio urbano, ora apparso notevolmente migliorato.
Un ambiente per niente nostalgico, desideroso invece di proiettarsi con spirito nuovo, recuperando ogni pezzo mancante alla modernità , con giardini e spazi a giochi.
Quando fu in piazza, accanto ad un edificio storico diroccato, il Palazzo Barra, ex sede di opificio borbonico, famoso non solo per la fabbricazione di acciarini e piastrine per moschetti, quanto anche e per di più perché fu lì, in quelle botteghe che Giovanni Venditti costruì la prima pistola automatica, il primo fucile a ripetizione già nel 1823, Vincenzo vedendo aperta la Chiesa di san Giovanni, forse anche per riposarsi, rispolverando il suo bisogno spirituale, entrò e si raccolse in preghiera.
Poco dopo riprese il cammino compiacendosi sempre più per Pub, ristoranti e negozi alla moda. Si rattristò anche nel vedere qualche " palazzo'' dei secoli passati, se ne restava abbandonato e fatiscente e tirò diritto verso Penta.
La strada la ricordava bene, eppure era notevolmente trasformata.
Un cavalcavia gli aveva mozzato il fiato; sotto, la superstrada che collega il Nord al Sud dell'Italia, invasa da Tir, camion e auto a velocità elevata e sulla strada provinciale pullman e auto che filavano su e giù; tanti pullman, forse troppi, e ai suoi tempi solo qualche corsa di un pullman che la bonomia della gente del luogo aveva soprannominato " ‘o commodo''. E nella mente pensieri e ricordi.
Il tempo divora ogni cosa proprio come il ricordo dell'artigianato che per secoli con maestrìa aveva esercitato la gente del posto, un artigianato sapiente, ora solo lontanissimo ricordo.
Nulla di quanto vissuto si può dimenticare e Vincenzo Sica sentiva riaffiorare i ricordi, perfino i rumori, i colori, i profumi del tempo che fu.
Dalle visioni frettolose trasparivano ancora però la schiettezza, l'educazione, l'onestà , il rispetto tipico dei luoghi, il tutto nella straordinaria salubrità dell'aria.
Penta gli apparve quasi intatta, come nei ricordi, con l'obelisco di San Rocco, la Chiesa, il circolo sociale, i bar e il convento con l'inferriata e la scalinata in pietra. Solo le targhe gli facevano capire che l'Università era arrivata fino a quegli edifici.
Gli sovvenne dei Poeti Rocco e Michele Galdieri e dell'attività sindacale e poltica di quella popolazione dall'accento longobardo.
Appena fuori dell'abitato l'occhio spaziò sulla collina di fronte e si imbattè nella visione dell'eremo di San Michele di mezzo ( per differenziarlo dal Pizzo San Michele che sorge molto più in alto), nel luogo ameno, tra tanto verde, con il Convento incastonato nella roccia.
Il pensiero come un fulmine corse alla strada tra querceti, castagneti e nocelleti che s'inerpicava lungo le falde della dorsale che partiva da Carpineto.Quante volte l'aveva scalata nell'adolescenza percorrendola di corsa e più giù lo colpì il maestoso, dirupo Convento dei Cappuccini, che fu il vanto dell'Abbazia dei Verginiani, intorno alla quale era fiorita la civiltà contadina e artigiana e della fede che per la società locale fu ricca di umanità , di valori, di solidarietà e di rispetto.
Chissà , con le trasformazioni in atto, se avevano inciso i cambiamenti.
" La vita è fatta di rospi ingoiati'' Vincenzo lo aveva sentito dire una volta dal Presidente Scalfaro nel Paese adottivo ed anche noi dobbiamo imparare ad ingoiarli, purtroppo...
La mattinata radiosa, non una nuvola in cielo, invitava a sospiri di letizie.
Vincenzo appena compì la discesa e fu sul ponte di Vallecara, rinfocolò in sé i ricordi dell'adolescenza e dell'infanzia. Aveva solo sette anni quando i Tedeschi avevano minato e fatto saltare il ponte e gli Americani poi lo ricostruirono immediatamente di legno per permettere alle loro Divisioni l'avanzata verso il Nord.
Il ponte adesso era molto solido, ampliato e Vincenzo Sica volle sporgersi dal parapetto ammirando un'area ben attrezzata per pic-nic, selciato ben stretto, tavoli, l'atavica fonte, scalini ordinati tra muschi azzurrini, foglie e rami, fiori e rigagnoli d'acqua: tutto perfettamente ordinato.
Riprese il suo percorso e il desiderato cammino via via si tingeva di uno struggente scopo spirituale, tra meraviglie e ricordi d'amore. Le sorprese non finivano mai.
Si sentiva più amante dei luoghi, se ne struggeva incapace di dare una risposta concreta al fatto che per troppi decenni se ne fosse privato e già riaffiorava in lui la tristezza del distacco. Si sentiva un nomade e in lui riaffiorava la palpante tristezza del distacco. Camminava con un cuore di fanciullo ma una forza strana lo ammaliava e lo spingeva.
Ad ogni passo Vincenzo ritrovava il passato nei sentimenti e nel lavoro che vedeva eseguire dalla gente tutto intorno. Nessuno peraltro si ricordava di lui, né lui si cimentava a ricordarli. Troppi anni erano passati, quasi due generazioni...
La natura era concerto che estasiava.
Passò accanto allo stadio e gli alti pini godevano dei giochi e dei cinguettii dei mille uccelli. Merli ovunque quanto colombi e tante farfalle.
In lontananza il Vesuvio e più in là la Rocca con i resti del Castello dei Sanseverino.
Scalò i Cappuccini e fu dove il Palazzo de Falco, antico imponente maniero dà il benvenuto a chi arriva a Fisciano. Anche qui tante novità con nuovi rioni, ristoranti, addirittura un Hotel, segno che molti dovevano soggiornarvi.
Tentò di svoltare a destra per recarsi subito a vedere la sua vecchia casa sul rione Isolella, poco distante dal famoso Monastero delle Carmelitane, ma desistette.
Tirò avanti e continuò il suo cammino e non poco fu la sua sorpresa quando si rese conto che il famoso vecchio cinema teatro " Eleonora Duse'' che tanto aveva frequentato, era stato adattato e trasformato in negozi e civili abitazioni. Via Roma gli apparve più bella che mai. Via i campi...la scuola media e, poco distante fu attratto da un alveare quasi nascosto dove le api domestiche producevano miele dal nettare di fiori che quotidianamente bottinaio, immagazzinano, per lasciarlo maturare nei favi dell'alveare.
Verde, marciapiedi, lampioni, giardini, vociare di bimbi, carezze di giovani amanti, mamme con passeggini e venditori ambulanti.
File interminabili di auto in sosta. Che mutamenti!
La campana intanto suonava a distesa mentre Vincenzo si trovò giù alla vetusta " lava'', una discesa che portava all'antica parte commerciale del paese e l'antica sede del mercato settimanale.
Anche qui notevoli cambiamenti, tutto irriconoscibile per il povero Vincenzo che ne ricordava l'antico basolato alquanto sconnesso.
Niente più strettoie, anzi la strada si allargava notevolmente e qualche centinaia di metri dopo...l'Università degli Studi, la Cittadella Universitaria.
Nella sua vecchia Fisciano l'Università degli Studi...e non era fantasia!
Centinaia di auto in sosta già lungo la provinciale e i parcheggi erano stracolmi e pullman e giovani, tanti giovani, mentre la campana diffondeva i rintocchi argentini...
Vincenzo, obliando ogni altra cosa, rimase attonito...
Un tramonto, intanto, spennella un rosa ancora più cupo: è la quiete della sera mentre spira un leggero refolo di vento. In lontananza comunque ancora clacson e sgommate o frenate...i pullman che intensificano le loro corse, la Cittadella si va svuotando.
Accanto allo Stemma in pietra della cittadina dove è riportato il motto del Gonfalone del Comune che Vincenzo Sica aveva più volte letto e riletto " A luce primordia ducit natura potentior ars"- nella reminiscenza del latino scolastico gli pareva che volesse significare " dalla luce trae origine la laboriosità più potente della natura'', l'attonito Vincenzo appariva senza difese...
Il paesaggio incredibilmente struggente con i suoi ulivi sempre più scuri; i silenzi e poco distante la bianca severità dell'architettura universitaria.
Sull'asfalto chiazze curiosissime e brillanti, forse per la prima rugiada o per gli schizzi d'acqua provenienti dagli zampilli della maestosa fontana.
Lembi di bello, spicchi di futuro con quel tesoro della Cultura!
Filtrando attraverso i mastodontici manufatti, la luna disegnava già le prime ombre.
Estatico Vincenzo continuava ad ammirare e tutto gli parlava al cuore...Armonia, poesia, vita!
Affascinato, pur dopo una intera giornata di sospiri, Vincenzo continuava ad inebriarsi e godeva nell'estasi di una illuminazione sempre più intensa...
" Anche con la sapienza perversa dell'uomo - diceva Vincenzo tra sé- che ha distrutto la bellezza dei campi e della natura, questa terra è ora tanto più viva giacchè fa vivere il desiderio di tanti giovani che decidono di vivere la vita da vivi, per amore di una cultura che è l'eccellente veicolo di sviluppo, che rende liberi, che apre al meglio del mondo mentre, devo riconoscerlo, la miseria, " la mia miseria'' è tutto il mio capitale''!