
Anche quest'anno è stato allestito un significativo e ricco presepe da parte dello storico locale e studioso di tradizioni antropologiche pregnanti del nostro territorio - e non solo - nonché esperto di costumi tipici, Gino Noia. Il tutto con il preziosissimo supporto e ausilio di alcuni amici, entusiasti e fervidi, che si sono trattenuti spesso con "il professore" e che ne hanno "sopportato" gli inevitabili, affettuosi rimbrotti "burberi". Tra questi il giovane, umile e volenteroso Antonio Delli Priscoli. Quest'anno la natività, artisticamente ben concepita e congegnata, allestita con perizia e savoir faire, è possibile contemplarla presso l'antica chiesa di San. Vincenzo (martire di Saragozza, patrono dei vignaioli e festeggiato il 22 gennaio) nell'omonima frazione in cui lo storico si è trasferito da circa un anno. Come sempre, tanta "ideologia", tanti semplici ma complessi segni e significati, possiede il presepe del Noia, che gli anni scorsi egli realizzava soprattutto presso la parrocchia di S. Antonio al capoluogo - di cui prima di trasferirsi era un assiduo frequentatore - dove era possibile ammirare la sua "creazione"... Tante minuzie sono state pensate, particolari sapientemente creati, mirabili, come i luoghi rappresentati nel manufatto. Che è stato progettato e approntato da tempo quest'anno ma materialmente fatto iniziare a costruire il 5 ottobre, come vuole la "tradizione", dopo la festa di S. Francesco (4 ottobre). Noia è anche impegnato come membro della commissione giudicatrice nell'ambito del concorso presepiale "Il presepe come momento d'arte...al centro del focolare domestico", relativo alle realizzazioni di scuole, enti, associazioni e naturalmente famiglie del fiscianese; un concorso fortemente voluto dal compianto "don" Gaetano Sessa, sindaco di Fisciano, recentemente scomparso. Ciò per avvalorare il senso più profondo della sacra rappresentazione, così vivida soprattutto a Napoli (S. Gregorio Armeno e altrove) ma anche in tutta Italia. Questa la descrizione del presepe, che come ogni anno ha un tema, e per stavolta il tema è l'attuale crisi economica e la solitudine di noi povera gente, rispetto alla grandezza e alla magnificenza di Cristo: per tale motivo ma anche per altre ragioni ugualmente o più profonde il presepe di Noia è grande mentre la capanna, la grotta della Natività è piccolissima, da cercare, simbolo dell'umiltà di Gesù. Nel presepe sono presenti tutti gli elementi sacri ma anche fondamentali per la vita: cielo, terra, acqua e aria, tranne il fuoco, che è stato portato da Gesù: prima non c'era questa sua luce... Il manufatto è stato realizzato solo ed esclusivamente con carta e cartoni riciclabili, in tema di austherity, secondo l'argomento della crisi e della povertà; il presepe occupa gran parte della chiesa, ad indicare che Cristo viene in mezzo a noi. Vi sono molti dettagli eloquenti che spiegano il modo di lavorare, di operare di Gino Noia e dei tanti suoi amici che hanno con lui messo in opera il tutto. Noi siamo ridondanti, vogliamo esser grandi, come il presepe, ma grande è solo il Bambino che nasce miseramente in una mangiatoia, appena riscaldato dal fiato di bue e asino ma accolto con ardente fede e commozione da parte della Madonna e di S. Giuseppe. La gente oggi è triste, è sola, per cui la Solitudine rappresentata dalla casa isolata, sulle rocce, il presepe indica quindi il mistero dell'essere in compagnia del Signore, nella grande casa del suo Cuore... Il cielo, voluto al Nord per simboleggiare la stella polare che orienta l'uomo come il Verbo incarnato, sopravarica i dettagliati edifici, con balconi e finestre, a volerci dire che non siamo più abituati ad alzare la testa verso una realtà trascendente, certamente più grande - infinitamente - delle nostre meschinità, dei nostri poveri mezzi, dell'aridità spirituale che tante, troppe volte contraddistingue il nostro operare, la vita, le azioni... Il tema della povertà e della recessione internazionale e locale, dunque, come viatico per dar luogo al lavoro di Noia e di Delli Priscoli... I segni della vita sono dati dall'acqua, che scorre tramite un motorino, l'unica cosa viva (poiché lustrale) nel mezzo della fissità del presepio, del deserto, il paesaggio scarno e brullo simile a quello della Palestina di oggi e di ieri; nel meccanismo che si muove scorrono tutte e quattro le domeniche di avvento, tutte le omelie effettuate da padre Carmine Ascoli - nuovo parroco redentorista di tutta l'unità pastorale, da Ciorani a S. Vincenzo, passando per Lombardi, S. Martino, Priscoli, Capocasale, Carifi, Torello - e dai suoi superiori nel corso della loro proficua presenza a S. Severino. L'acqua inoltre come simbolo di S. Giovanni Battista, che appunto battezzava (il termine battesimo deriva dal greco "baptizein", che vuol dire: "immergere") nel Giordano, ma contemporaneamente predicava la venuta di Cristo e il suo battezzare in Spirito Santo. Il paesaggio è come un deserto, con rappresentate rocce e asperità, ma domina la vallata; la capanna è giocoforza umile, piccola: essa va cercata, in piccolo, nelle cose più semplici ma al contempo più importanti, senza volerci affermare, senza affannarci... La stessa gelida grotta vuole far capire come anche Maria e Giuseppe compivano il loro dovere verso la Legge, sia romana (appunto il censimento) sia ebraica, con il recarsi a Betlemme per farsi registrare: proprio Gesù che sconvolge le leggi, l'ebraica come quella delle nostre mediocrità, ma anche quelle del cuore, in apparente contraddizione nasce sotto la Legge e muore per la "sua" Legge... Sopraffacendo il vuoto insito nelle cose vane cui l'uomo - inteso come tutta l'umanità, nella sua storia - corre appresso quale chimera, Cristo è venuto a demolire gli stereotipi del potere, come vuol significare il tempio romano caduto, con solo una colonna a indicare il vecchio potere della antica civiltà romana... Ciò vuole rapportarci alla nuova era, quella del Signore vero Uomo, nonché vero Dio, che rinnova, fa splendente tutta la nostra e altrui esistenza, in cui si rovesciano i ruoli di potente e suddito, di servo (di tutti). Nell'ambito del paesaggio - studiato apposta e apposta "stonante" nel complesso insieme - vi è una casa del '700 napoletano, addossata a un dammùso, cioè un povero monolocale, misero, che ricorda il presepe napoletano voluto dapprima da S. Gaetano da Tiene, poi diffuso dal "nostro" S. Alfonso Maria dei Liguori, patrono e "conterraneo" degli abitanti di Ciorani, Pagani, S. Vincenzo ma anche di Napoli. Non a caso, inoltre, la raffigurazione è alle spalle di chi ascolta la Messa, a protezione dei fedeli che vi accedono. Completano infine il tutto una pagnotta, posta a terra sulla longitudine della capanna, a rappresentare il Cristo che diventa per noi Pane, nutrendoci col suo corpo, e perché Betlemme significa in ebraico "casa del pane", ed una brocca raffigurante il sangue versato da Nostro Signore per la redenzione dell'umanità. Di 30 cm e non molto antichi e pregiati i pastorelli, che comprendono Benino o Beniamino, simboleggiante la meraviglia, la speranza, la fiducia e il buon riposo, nonché gli angioletti che danzano appesi al cielo per dare l'annuncio agli umili pastori che vanno ad adorare il Bambinello, sotto il cielo con le stelle dell'Orsa maggiore, compresa la stella polare che ci guida come Cristo. In ultimo ricordiamo di questo mastodontico lavoro il ponte spezzato, passaggio interrotto eppure ininterrotto, tra mondo classico e mondo cristiano, tra la vecchia alleanza dei patres (patriarchi) ebraici e la nuova alleanza sancita con patto di sangue e sacrificio da Gesù.