Napoli. Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli mostra al pubblico uno dei tesori più nascosti e meno noti delle culture mesoamericane. "Il mondo che non c'era" sbarca nella città partenopea dopo il grande successo ottenuto nelle due tappe precedenti a Firenze e Rovereto. L'evento è stato organizzato dalla Fondazione Giancarlo Ligabue, inserito al Mann nel filone Classico/Anticlassico dal già direttore Paolo Giulinieri. Questa mostra espositiva è stata realizzata non solo per riportare sotto i riflettori le meraviglie di un modo quasi sommerso, ma anche per rendere omaggio al grande imprenditore, nonché paleontologo, appassionato collezionista ed esploratore Giancarlo Ligabue, venuto a mancare due anni fa. Fu un vero pilastro per la branca dell'archeologia e dell'antropologia, immergendosi in prima persona in oltre 130 spedizioni continentali da egli stesso organizzate, prendendo parte alle campagne di scavo. Grazie al suo attivismo ebbe modo di far riemergere una collezione d'arte dal valore inestimabile, passando dagli Olmechi ai Maya, dagli Aztechi agli Inca. E' la storia che si mescola con l'arte delle civiltà precolombiane, in un confronto fra etnie e culture diverse.
L'incontro con il nuovo continente, la scoperta delle "Indie" tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo fa crollare con un moto vorticoso l'immagine che si era perpetuata fino ad allora dell'asse Roma-Grecia-Oriente. Impossibile non ricordare uno dei nomi più importanti che contribuirono a rendere epocale la svolta nella storia dell'umanità: Amerigo Vespucci, il grande esploratore che per primo comprese l'errore nell'intuizione di Cristoforo Colombo. Quelle che nel 1942 furono scoperte non erano isole indiane al largo del Cipango, in Giappone, ma un mondo nuovo, straordinario nella sua vastità di popoli e culture, l'America. Questo fu il nome scelto da molti studiosi, che in seguito decisero di rendere omaggio alle capacità dell'illustre Amerigo Vespucci. Quel "Mundus Novus" era prospero di ogni sorta di ricchezze e le sue terre divennero in breve tempo un bocconcino appetibile nelle fauci dei conquistadores. La corsa all'oro, la famosa "Ricerca dell'Eldorado", amata tanto dal cinema quanto dalla letteratura, annebbiò la vista di spagnoli e avventurieri che si spinsero fin nelle Ande per devastare quei territori. E' il vecchio continente che ancora una volta deve mantenere la propria supremazia, annichilendo con stragi, epidemie e razzie luoghi un tempo prosperi, di gran lunga più ricchi del mondo Occidentale. Il percorso espositivo organizzato al Mann si concentra tanto sulla rarità del corpus di capolavori collezionati negli anni di più intensa attività lavorativa da parte di Giancarlo Ligabue, quanto sul superamento di quella concezione ormai radicata nell'immaginario collettivo di superiorità degli occidentali sul mondo orientale. "Il mondo che non c'era" si presenta come una mostra dal valore fortemente interattivo ed educativo. Ponendo sotto gli occhi di tutti i visitatori la straordinaria raccolta di opere precolombiane, la Fondazione Giancarlo Ligabue intende sì diffondere una cultura tutt'ora in fase di analisi e studi approfonditi, ma si pone anche l'obiettivo di abbattere quei luoghi comuni che tendono a favorire una cultura a discapito di un'altra. Soltanto quando si sarà raggiunta una consapevole presa di coscienza di quanto di sbagliato possa esserci dietro una fallace centralità occidentale, la mostra potrà dirsi aver raggiunto il capolinea.
Si tratta di un'iniziativa che lascia molto riflettere, ma al tempo stesso dona a tutti la possibilità di immergersi in quel mondo che non c'era. Un corpus di oltre 200 esemplari tanto unici quanto rari sarà esposto al pubblico: dalle statuette antropomorfe della cultura olmeca alle Veneri ecuadoriane di Valdivia, dalle maschere in pietra di Teotihuacan ai classicheggianti vasi dei popoli Maya. A rappresentare il mondo azteco vi sarà un'esposizione di numerosissime statuette in oro oltre alla ragguagliante scoperta di quanto i popoli americani abbiano influenzato il nostro mondo. Dalle cucine della Corte spagnola numerosi sono gli alimenti che entrarono a far parte della tradizione alimentare partenopea. Dagli Aztechi deriva l'arte della coltivazione dei pomodori, delle patate e del cacao, prodotti anche ancora oggi mantengono il primato nella dieta mediterranea. Quel popolo così lontano dal nostro mondo purtuttavia continua a stupirci, donando alla città di Napoli quella caratteristica che aggiunta al mare, al sole, pizza e mandolino la rendono riconoscibile in tutto il mondo: il primo pallone di gomma, la sfera mostrata perla prima volta a Cardo V dai più abili giocatori aztechi condotti fin lì da Cortés. Numerose sono le statuette policrome di ceramica cava della cultura di Chupicuaro, risalenti al periodo che va dal 400 al 100 a.C., oltre alle urne cinerarie della cultura Zapoteca, che coprono un arco di tempo prolungato, dal 200 a.C. al 200 d.C., manufatti della cultura Moche, tessuti e vasi del popolo di Nazca. La mostra sarà aperta al pubblico fino al 30 ottobre 2017. Un'esperienza immersiva coinvolgerà totalmente il visitatore fra i tesori più reconditi di un mondo non ancora conosciuto. Arte e cultura si fondono in un amalgama storico, facendo confluire l'oggi in un eterno passato che non avrà mai eguali.