"A volte un sigaro è solo un sigaro, ma qualche volta è qualcos'altro" affermava Sigmund Freud, padre della psicoanalisi. Ciò vale per il mastodontico - in tutti i sensi - capolavoro di Herman Melville "Moby Dick". Scritto nel 1851 da un timido maestro con la passione per il viaggio, "Moby Dick o La balena" non rappresenta soltanto un epico romanzo di avventure, ma acquista lo status di un'opera onnicomprensiva e tesa ad intrufolarsi nelle pieghe della natura umana, una sorta di Bibbia laica. Interpretare questo intenso testo, espressione della American Renaissance, non è affatto semplice e ancora oggi studiosi ed appassionati percorrono e ripercorrono l'opera alla ricerca di passaggi preziosi, dove si nasconde anche qualcos'altro rispetto a quanto affermato, proprio come il capitano Achab rincorre per i mari Moby Dick in cerca della sua vendetta. L'edizione da me scelta è quella integrale della New Compton editori con traduzione di Pietro Meneghelli, risalente a maggio 2017, pertanto molto recente. La vicenda viene narrata da Ismaele (non a caso un nome biblico il cui significato è "Dio ascolta", destinato a vagare per il deserto e a fondare una nuova stirpe), uomo senza lavoro che decide di imbarcarsi su una nave, insieme al ramponiere polinesiano Queequeg conosciuto lungo il cammino per Nantucket, perchè affascinato dalla caccia alle balene. Come contraltare del narratore, invece, il feroce Capitano Achab (anch'esso nome biblico di un Re che abbandonò la fede cristiana per divenire uno dei più efferati persecutori dei suoi praticanti), uomo burbero e ossessionato dalla vendetta nei confronti del bianco capodoglio che in passato gli ha tranciato una gamba. Intorno a loro una pletora di personaggi che compongono un equipaggio multietnico e variegato, che sembra dipingere i vizi e le virtù degli esseri umani, partendo dal prudente Starbuck, primo ufficiale, passando per l'allegro secondo ufficiale Stubb e il rozzo ed indifferente terzo ufficiale Flask. Ismaele e Achab incarnano i personaggi che più si somigliano tra loro, in quanto accomunati dalla spasmodica ricerca di un qualcosa, ma che più divergono nel modo di cercare questo qualcosa, per l'appunto proprio Moby Dick. Ma cosa rappresenta la bianca balena? Questo è lasciato alla libera interpretazione del lettore anche se Melville ci dà una grande indicazione in un capitolo tra i più interessanti della lunga opera: quello sulla "bianchezza" della balena, che ha anche ispirato l'omonima canzone di Vinicio Capossela. L'enorme mole del capodoglio albino incute terrore non solo per la sua potenza distruttiva, non solo per la sua enormità ma per il suo "non-colore": il bianco veste le giovani spose, i nascituri e tutto ciò che di puro e innocente troviamo al mondo, ma è anche il colore del sudario, di un corpo che abbandona la vita, del nulla, dell'indefinito, di ciò che sgomenta l'uomo. Il paragone dell'utilizzo e dell'interpretazione del colore bianco in differenti culture occidentali e non, ci dimostra che questa è una paura atavica, che prescinde dall'appartenenza culturale, che ci rende tutti fratelli sotto lo stesso cielo, in balìa del medesimo destino. Il romanzo si dipana in maniera piuttosto lenta e pesante rispetto all'evoluzione di un romanzo contemporaneo: parte della colpa - o del merito a seconda dei punti di vista - è dovuta al fatto che all'azione, che alla fine si riduce ai pochi momenti di caccia alle balene, viene contrapposta una lunga disquisizione sulla natura del grande cetaceo e su come questo viene raffigurato, studiato e vivisezionato dall'uomo, proprio a sottolineare la maniacalità con cui Ismaele è attratto a sua volta da Moby Dick. La sua ossessione tuttavia, a differenza di Achab, sarà la sua àncora di salvezza. Denso di riferimenti biblici e talvolta anche scientifici, il testo di Moby Dick, come precedentemente accennato, può essere considerato come una sorta di Bibbia laica, che non vuole promuovere una religione a scapito di un'altra, ma anzi vuole cercare un filo che le accomuni tutte proprio perchè la vita umana ha una fine e un percorso comune per tutti. Un testo filosofico piuttosto che un romanzo di avventure, che si presta a riflessioni ed interpretazioni continue, che ben si adatta a chi ama speculare e riflettere sulla condizione umana, ma che molto meno si addice a chi pensa di trovarvi azione, avventura e freschezza di linguaggio.
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