
"Un'urgenza in cui passano l'estraneo e il noto". È stata questa pulsante necessità, ben illustrata dal poeta irlandese Seamus Heaney, ad alimentare in Teju Cole l'anelito a riversare in un unico volume anni di lavoro critico, dalla storia fotografica all'arte, passando per la letteratura. Dopo il successo raccolto dallo splendido romanzo "Città aperta", in cui New York "si fa strada nella mia vita", la vita del protagonista Julius, arrivano in Italia i saggi dello scrittore statunitense, nato da genitori nigeriani. La raccolta "L'estraneo e il noto", tradotta in Italia da CostrastoBooks, decritta il codice personale dell'autore attraverso immagini e parole. Una parte importante della vita di Cole è rivestita dalla fotografia: egli stesso è fotografo per il New York Times Magazine, consapevole del legame profondo che essa ha con l'arte. "Fotografia e scrittura", affermò qualche anno fa al Festival di Internazionale a Ferrara, in compagnia del grande John Berger, "sono compagne di viaggio; la fotografia si nutre del pregnante legame che ha con l'arte". In "perfezione Improvvisata", uno dei saggi della raccolta, Cole rende omaggio ad uno dei maestri della fotografia, Henri Cartier-Bresson: "Quando vado in giro a scattare foto", sottolinea, "l'obiettivo è sempre cogliere l'imprevisto, o esserne colpito". Il fotografo deve essere innanzitutto nel posto giusto: il resto, poi, è destino, ci ricorda l'autore. Cosa è cambiato oggi, nuovo millennio, con l'emersione dell'immagine digitale? In "La macchia di Google" Cole evidenzia il carattere mediale degli smartphone e di tutti i dispositivi di nuova generazione: "Il cellulare è una finestra che rischia sempre di rompersi". La vista, infatti, resta il canale principe con cui l'uomo sta al mondo, il senso più esteso, l'apice della percezione personale, pur senza tralasciare gli altri sensi, l'udito in primis. Fotografia e scrittura, dunque, viaggiano a braccetto, ritrovandosi fuse nel canale unico della testimonianza: se il reale è complesso, esse forniscono il linguaggio più semplice per tramandarne vissuto e memoria agli altri. "Mimesis", dunque, intesa non come riproduzione tout court e passiva dell'oggetto, ma come personale pellegrinaggio verso le cause primigenie di produzione dell'opera, verso, cioè, l'indagine soggettiva che si cela nel lavoro e, dunque, verso il timbro identitario che l'autore vi ha impresso. "Ogni giorno è per il ladro" così come ogni oggetto sta ai sensi di chi lo ha offerto, testimone, agli altri. Leggere e Vedere, le due sezioni formali in cui è diviso il libro, restituiscono dunque il senso dell'insegnamento a leggere e sondare le immagini. Ecco che nulla può essere dato per certo, e compito dello scrittore, così come del fotografo, resta quello di suscitare le domande giuste, le uniche legittime.