Mantova. Perché il pubblico è così attratto dal giallo o poliziesco? Come mai questo genere, ancora e soprattutto oggi - con molti dei protagonisti della sua sterminata galleria proiettati al cinema o nei serial tv - riscuote un successo ed un seguito senza eguali? In uno dei suoi capolavori, lo storico Hobsbawm sosteneva che il genere in questione fosse una curiosa invocazione all'ordine sociale minacciato; la risposta investigativa, o meglio la ragione, e il metodo deduttivo, applicati dal detective per la risoluzione del caso diventano, di questo passo, l'emblema della restaurazione di quell'ordine. Al di là della connotazione politica (il giallo d'enigma degli inizi piuttosto conservatore, ben più dinamico l'hard boiled) e dell'evoluzione formale - dal solipsismo dell'investigatore al filone procedural, tra le altre cose - ciò che getta luce sulla letteratura di genere è proprio la caratterizzazione del delitto come elemento di rottura di un ambiente in perfetto equilibrio. A meno che - come sottolineato da Tommaso De Lorenziis in un illuminante articolo pubblicato su Euronomade - non intervenga la pratica di "indagine e disvelamento dei territori": la capacità, cioè, dell'investigatore di agire a misurarsi con lo spazio in cui agisce. Cosa cambia tra Roma ed Aosta? E' la domanda a cui devono rispondere Enrico Mancini e Rocco Schiavone, gli investigatori nati dalle penne, rispettivamente, di Mirko Zilahy e Antonio Manzini, i giallisti ospiti del Festival. Mancini e Schiavone: entrambi romani, entrambi con un passato doloroso, segnato dalle morti delle rispettive mogli, entrambi alle prese con una rivoluzione in atto più individuale che non sociale. Mancini si muove in una Roma quasi fulciana, dove, nell'ultimo lavoro di Zilahy dal titolo "La forma del buio", a farla da padrone è un killer seriale che trascina follemente le sue vittime in una dimensione mitologica. Siamo dunque fuori dal tunnel criminale di Mafia Capitale e dalle vicissitudini innescate dal malgoverno capitolino: dopotutto la letteratura è intrattenimento, e nulla più del giallo è in grado di assicurarlo. Schiavone è romano ma da Roma è stato allontanato e trasferito ad Aosta, dove il gelo e la neve non ne hanno limato il temperamento burbero, la densa carica umana e quella personale preghiera laica del mattino che è lo spinello. "In fondo - ricorda l'autore - non tollero l'idea di un eroe senza macchia". Schiavone è ad Aosta ma potrebbe essere Roma, perché in fondo l'uomo è uguale a se stesso ed ogni delitto continua ad essere imperfetto a prescindere dalla latitudine. A Mantova per presentare l'ultima avventura con protagonista il vicequestore, "Pulvis et umbra", Antonio Manzini, pur debilitato dall'emicrania, ha dato vita ad un divertente siparietto con un vulcanico Marco Giallini, che a Rocco Schiavone ha prestato il volto in tv.
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