Dobbiamo confessare che ci siamo un po’…â€vergognati†(ma questa forse non è la parola adatta, in quanto realmente troppo forte) allorquando il tale, che non ha voluto rivelare le proprie generalità ma che vive da anni fuori S. Severino, ci ha indicato – con sua somma sorpresa e amarezza, con un pizzico di delusione – una umile tomba, posta in un luogo discreto e molto appartato. Questa lapide era “staccata†dalle altre cappelle – sicuramente più “signoriliâ€, gentilizie – e sembrava come abbandonata: era forse come un avello misero, tipico di una persona povera in vita (si ricordi opportunamente “La livellaâ€, poesia ad hoc del compianto Totò), un triste luogo di desolazione – anche se comunque tutti i cimiteri sono avvolti in un silenzio irreale e incombente, denso di rispetto e di compunzione come i lager nazisti, per esempio Auschwitz…
Ebbene, per non portarla alle lunghe, il sacello indicatoci dall’avventore era niente altro che il “misero†luogo di sepoltura del “grande†Ovidio Serino.
Per chi non fosse del territorio sanseverinese e/o non sapesse (neanche) che vi sono una via e un plesso scolastico a lui intitolati al capoluogo, dobbiamo ricordare che questa “illustre†personalità – sconosciuta forse alle nuove generazioni – è un cittadino del comune che ha dato grande prova del suo coraggio e del valore di cui ogni essere umano è o dovrebbe essere pregno impegnandosi da eroe risorgimentale nella grande impresa dei Mille di Marsala: esatto, proprio con Giuseppe Garibaldi!
Il Nostro, sacerdote prima, poi appunto garibaldino ed infine nuovamente riabilitato come prete, dovrebbe essere ricordato senz’altro meglio nell’immaginario ma soprattutto nella memoria collettivi della cittadina di S. Severino – e non solo…
Lo “straniero†del Nord ci ha confessato che lui aveva sentito parlare di Ovidio Serino ma sperava che egli fosse deposto in un luogo migliore e più al centro dell’attenzione, soprattutto più curato, più pulito e meglio tenuto.
Proprio in occasione dell’imminente 150° anniversario dell’unità di Italia, che si terrà o si dovrebbe tenere nel corso dei prossimi due anni, in particolare nel 2011, vorremmo proporre all’attenzione della intera nostra nazione questa eccelsa figura, quasi “dimenticata†– abbiamo detto – in quel di Costa (dove è sito il cimitero e dunque la sua umile tomba), senza un fiore, con una lapide quasi sgretolata dal tempo e dell’incuria, dalla disattenzione e forse disaffezione da parte dei visitatori…
Per questo motivo vorremmo che la nostra amministrazione – così solitamente ed intelligentemente attenta a tanti personaggi vivi e morti che hanno dato prestigio (onore, lustro, vanto) alla Città con l’esempio e mediante una sana condotta di vita – onorasse meglio questo valoroso garibaldino ispiratosi ai principi e agli ideali di libertà nell’ambito della romantica (come corrente ottocentesca dopo l’Illuminismo) idea di nazione, combattendo per la nostra Italia, dunque a livello nazionale.
Serino ha dato molto alla cittadina irnina, quindi non meriterebbe di essere dimenticato in morte come lo è adesso la “povera†tomba in cui giace, lui che potrebbe essere di esempio ai Sanseverinesi più giovani, che magari non lo conoscono come a volte non conoscono la propria storia…
Almeno qualche parente – ma può darsi che i familiari non siano più in vita o siano lontani – potrebbe deporre almeno un fiore sul duro, freddo marmo…
Ed ecco, per la cronaca, qualche notizia anche “inedita†sul sacerdote-combattente della nostra cittadina; gran parte della storia del Serino ci è stata “raccontata†da un’autorevole fonte, da uno storico locale molto conosciuto a S. Severino.
Ovidio Serino nacque a Carifi, una frazione di Mercato S. Severino, il 5 aprile 1813, in una famiglia borghese. Il padre, Francesco, era anche funzionario dell’Anagrafe e dello Stato Civile di Carifi.
Fu ordinato sacerdote nel 1836 e secondo la tradizione familiare, che aveva avuto già un altro Ovidio sacerdote e cappellano dell’Arciconfraternita del SS. Rosario di S. Giovanni in Parco al capoluogo, iniziò l’attività pastorale nella forania di S. Severino e fu viceparroco nella stessa Carifi.
Non lesinava di aiutare, senza risparmio, altri parroci della zona.
Il suo nome cominciò a circolare, negativamente, subito dopo i Moti del 1848, quando frequentando i fratelli Bracale di Baronissi e la “Vendita carbonara†di Pietro Sessa nonchè le attività liberali di Raffaele Conforti di Calvanico, oltre ai movimenti costituzionalisti di parte del clero salernitano, fu “sorpreso†nel Cilento a capo di bande armate, di associazioni ribelli e fu accusato di furti e di attentati al personale di Stato…
Fu accusato di far parte degli insorti, con a capo il Carducci (non il poeta Giosuè), noto delinquente cilentano.
Il 27 gennaio 1852 la Corte Speciale di Salerno (che era allocata presso l’attuale Archivio di Stato) lo condannò per insubordinazione al re, essendo nel capo di imputazione il principale artefice delle insurrezioni attuate per raggiungere Napoli e rovesciare la monarchia, e per avere organizzato bande ed associazioni ribelli nel Cilento, gruppi ricattatori.
Nell’ambito della rivolta del Cilento fu poi accusato per aver commesso furti e saccheggi a danno delle casse fondiarie di Rutino, Capaccio e di altri paesi di questa realtà del Salernitano e si disse anche che Serino avesse compiuto le sue azioni insieme ad un altro personaggio, anche egli confluito poi nei Mille: Giuseppe Maria Pessolani, fu Saverio Arcangelo di Atena Lucana, dove era nato il 27 febbraio 1807; questi era già maggiore a riposo ma, travolto dall’entusiasmo per la causa risorgimentale, non volle rinunciare all’ebbrezza dell’avventura dei Mille.
Il 21 febbraio 1852, a causa della sua natura fisica debole e grazie alla petizione dei familiari e di alcuni sacerdoti salernitani, dal momento che il Nostro non aveva rinunciato al “bonus pastorâ€, la pena di morte fu commutata nell’ergastolo, da scontare nel bagno penale di Nisida.
La salute cagionevole e la debilitazione fisica fecero sì che l’ergastolo fosse a sua volta commutato in trenta anni di carcere in cella di isolamento (17 settembre 1857).
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