C'era una volta il "quarto potere" e poi addirittura il "quinto": il mondo della comunicazione vive da sempre fasi evolutive in cui un medium risulta più forte e surclassa il precedente. La verità è che nessuno si estingue davvero: tutti si "riciclano" conquistando una precisa fetta di pubblico, mentre il progresso sforna continuamente novità. Non è tanto questo a stupire, quanto la rapidità con cui i nuovi mass media raggiungono e cambiano la percezione del mondo di chi li utilizza. Il sociologo Manuel Castells ha, a tal proposito, affermato nel 1996 che "negli Stati Uniti la radio ha impiegato trent'anni per raggiungere sessanta milioni di persone, la televisione ha raggiunto questo livello di diffusione in quindici anni; internet lo ha fatto in soli tre anni dalla nascita del World Wide Web". La quantità di informazione subisce un processo similare: dalla scarsità si giunge alla eccessiva abbondanza. Avere tante informazioni a disposizione spesso equivale a non averne alcuna: nella storia della comunicazione di massa ogni medium è stato vittima delle cosiddette "bufale", ossia di notizie prive di fondamento che rischiano di diventare convinzione comune a causa della loro eccessiva diffusione. Oggi, grazie ai social network, chiamiamo questo fenomeno "viralità", proprio come se fosse un malanno che passa di persona in persona. La viralità delle bufale costituisce infatti un vero e proprio problema, perché finisce per diventare strumento di persone che si arricchiscono illecitamente solleticando la "pancia" del popolo - vedi il fenomeno del "clickbait" - ma soprattutto perché è stata determinante nelle scelte politiche su vasta scala degli ultimi tempi, favorendo una odiosa deriva populistica. Come difendersi allora dalle informazioni false ed inesatte che circolano in rete? La colpa non è soltanto di noi giornalisti, che talvolta cadiamo vittime della effettiva difficoltà di verificare le fonti, ma anche della mancanza di strumenti da parte di chi le notizie le legge. L'idea comune che i "millennials" o i "nativi digitali", nati e cresciuti nell'epoca dei computer e dei social, siano più smaliziati e abili nel fact-checking è purtroppo una convinzione errata: una ricerca della Graduate School of Education dell'Università di Stanford in California dimostra purtroppo che anche loro, come i propri genitori, non hanno la capacità di distinguere tra contenuti veri, pubblicizzati e fasulli che circolano in Internet. Tale ricerca, pubblicata nel Novembre del 2016 ma iniziata nel Gennaio del 2015 (quindi non influenzata dalla campagna elettorale per le Presidenziali che ha portato alla vittoria Donald Trump), ha coinvolto 7.804 studenti americani di ogni fascia d'età e di 12 Stati differenti. Secondo i politologi e i sociologi, un'altra variabile che ha determinato l'attuale stato di cose è il fatto di vivere nell'epoca della post-truth o post-verità. Il termine, coniato dal drammaturgo statunitense Steve Tesich nel 1992, in riferimento ad alcuni episodi come la copertura mediatica attenuata di casi storici come la Guerra nel Golfo, ha ottenuto una evoluzione concettuale che ne ha permesso l'inserimento nel 2016 nell'Oxford Dictionary, che la definisce così: "relativa a circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno influenti, nel formare l'opinione pubblica, del ricorso alle emozioni e alle credenze personali". Tutto ciò non deve però demoralizzarci o spingerci a disinteressarci alle informazioni sul web: è importante adottare dei piccoli accorgimenti che possono aiutare nel distinguere le notizie vere da quelle fasulle. Ad esempio è molto importante, quando ci imbattiamo in una notizia online, non lasciarsi ingolosire dai titoli urlati e condividerli senza aver letto la notizia: molto spesso capita che l'articolo sia completamente non allineato a quanto afferma il titolo. Prendere con le pinze quanto viene scritto sui blog, anche se collegati ad importanti giornali, è un'altra regola d'oro da seguire: molto spesso si tratta di opinioni personali non suffragate da dati e che spesso sfuggono al controllo delle testate che li ospitano. Osservare la grafica e verificare le immagini è un altro passo da compiere: una grafica non professionale e fotografie che si riferiscono ad altri eventi (basta utilizzare Google per rendersene conto) non sono indice di affidabilità della notizia. Imparare a "googlare" i nomi dei giornalisti che titolano gli articoli e ad analizzare per bene i siti che ospitano le notizie, in particolare la sezione "Chi siamo", può ulteriormente aiutare a fare chiarezza, oltre a verificare la data della notizia (ci sono informazioni distorte che periodicamente vengono fatte circolare in rete) e che questa sia presente su altri siti di informazione. Infine, occorre prestare molta attenzione alle estensioni dei siti su cui reperite le notizie: nella maggior parte dei casi, estensioni che terminano in modo strano (ad esempio .lo invece di .it o .com) appartengono a siti di notizie fake. I nomi stessi dei siti possono trarvi in inganno: alcuni imitano spudoratamente quelli delle testate più famose. Quindi attenzione a non condividere notizie provenienti da siti come "Il Fatto Quotidaino" piuttosto che "Il Fatto Quotidiano", o da "Repubblica24" invece di "Repubblica". Se volete ulteriormente chiarire i vostri dubbi esistono on line dei siti che si occupano di fare per voi il fact-checking: in Italia esiste da Febbraio del 2016 Polygree, un social network creato da un gruppo di ricercatori dell'Università di Perugia, il quale cerca di stabilire il rating delle notizie in maniera scientifica. Un utente qualsiasi può segnalare una notizia sulla piattaforma e chiederne la verifica: un team di esperti nella materia, unito agli iscritti al sito, potranno verificarla ed assegnarle un punteggio in base alla sua veridicità o meno. Quello che non può insegnarci il web può tuttavia suggerircelo il buon senso: la viralità delle bufale - che esiste dai tempi della Donazione di Costantino - è solo il sintomo di un male più grande ovvero la mancanza di una mentalità adatta al tipo di medium con cui ci si confronta. Oltre alle modalità di arginamento delle notizie false annunciate da Zuckerberg, creatore di Facebook, in collaborazione con Google, è opportuno educare gli utenti del web, tra cui figurano anche tanti insegnanti ed educatori, a maneggiare con più consapevolezza l'enorme flusso di notizie che circola sui social e su internet. Con buona pace di alcuni movimenti politici che vivono della paura e del malcontento che molte fake news alimentano.