
Pubblicato nel Dicembre del 1857, proposto oggi da Edizioni E/O nella collana Gli Intramontabili, Confidence-man o L'uomo di fiducia è stata l'ultimissima testimonianza data alle stampe da Herman Melville, semplicemente il più grande e geniale scrittore americano del XIX secolo. Non è forse un caso che l'autore di "Moby Dick" e "Billy Bud" decida di proiettare la sua storia su uno scalcagnato battello impegnato a solcare le acque del Mississippi, quello stesso fiume che qualche anno più tardi Mark Twain avrebbe fatto attraversare ad Huck Finn nella sua scalcinata epopea. Non è un caso perché il corso d'acqua e la letteratura anglo-americana hanno da sempre stretto un legame profondo, un accordo pattizio, tacito ma intenso, destinato a scavare nelle viscere dell'imponderabile ed impenetrabile umano. Anche i passeggeri del battello di Melville sono presi dall'insaziabile voluttà di dimenarsi nelle sabbie mobili del secolo corrente, destinato, nell'immaginario dell'autore, a terminare il suo tunnel nel buio più pesto della notte. E qualcosa importa se, a bordo della nave, si aggiri lo strano figuro del con-man, il picaro tipo-americano, il Lazarillo sfrondato dell'aura caricaturale e dotato di tutti i crismi della borghesia yankee in preponderante ascesa. Ma se nel romanzo iberico la figura del picaro sembra segnare più l'addio nostalgico all'ideale romantico-cavalleresco donchisciottiano, il con-man di Melville racchiude in sé tutte le anime del sogno americano incombente, ancora soffice e già minaccioso, dall'eroe periferico del racconto contrabbandato di frontiera all'anelito individualistico del Robinson Crusoe di Defoe, emblema vivo e acceso del self-made man della rivoluzione industriale, passando per il vecchio pioniere del West un po' demodè e molto intriso dell'etica di Wall Street. E' il basso istinto arrivista il padrone, è il con-man personificato e complementato dall'umanità che ha davanti, che è poi quella del battello, del Mississippi, dell'America e del Mondo. E' la sete del sentimento smithiano e ricardiano mascherata dalla retorica del progresso e del moralismo perbenista vittoriano, recisa da Malville in una satira tremenda e cupa. Lo scoprirà poi D.H.Lawrence, lo descriverà, poi, questo "grande gioco" dell'interesse Kipling, ed in maniera mirabile, lo aveva già capito, Melville insegna, Bartleby lo scrivano. Il corso d'acqua, dicevamo. Il mare di Conrad e che fu di Byron viene qui rimpiazzato dallo scorrere placido del Mississippi. Ma lì quel mare era azzurro e compagno a volte bizzoso; qui il fiume si adagia nel suo ruolo quasi da comprimario di spettatore neanche troppo interessato, forse perché ormai un filino impotente. Sarà ormai tardi quando il Missouri assisterà immobile alla rassegnazione dei personaggi di John Cheever, ormai travolti dal crollo del positivismo esistenziale dopo la Great Depression, pronti al ritorno impossibile nell'ideale bucolico. E mentre la folta truppa del battello si perde in lunghe dissertazioni, mentre tutti gli episodi faticano a trovare una loro unità, Melville sembra avvertire il lettore che i nodi, prima o poi, sono destinati a venire al pettine.