Japi è un consapevole scroccone: non dipinge, non scrive poesie, non ama la natura e nemmeno è anarchico, "grazie a Dio non sono niente", dice al pittore Bavink, incontrato sul ponte di prua del battello tra Numansdorp e Zijpe. Quello con l'artista rappresenta per lui un incontro come tanti, se non fosse che anche l'altro finisce per rivelare il senso di sconfitta interiore di fronte ai successi platinati di una carriera apprezzata e mondana quanto basta. E' lo stesso anelito che pervade Koekebakker, cronista tanto affermato quanto divorato dalla mediocrità borghese che avvolge l'Olanda di inizio secolo. Sembra passata una vita dal gioco posizionale del primo conflitto mondiale, in realtà è passato nulla, anche perché la Grande Guerra ha intaccato i Paesi Bassi assai meno di ciò che si possa pensare. L'ondata liberale e liberista inghiotte sempre più il paese, a discapito dei primi vagiti anarco-insurrezionalisti e di rivalsa della classe operaia, indigeni o comunque trasportati dagli spifferi della vicina Germania. Normalità, in un paese dove "comunque non succede niente", appunta Cees Nooteboom, e che nei secoli si è quasi rassegnato al trionfo del grigiore monoteista della morale e dell'etica borghese. E' reazione di pancia quella di Japi, Bavink e Koekebakker, pedoni erranti senza un posto da occupare tra le fila compatte della società contemporanea, un posto che comunque non intendono cercare. Sanno già che la loro pratica di bohémien rintuzzati da uno spigolo all'altro verrà archiviata con una sconfitta e per questo non si adagiano sui primati effimeri riconosciutigli dall'attualità, specie ad un artista e ad un giornalista. Anzi, ne scimmiottano gli atteggiamenti, tra caffè, canali e paesaggi da cartolina, senza riprodurre il sistema capitalista che si ristruttura sempre più verso il monopolio finanziario. La loro è un'esistenza destinata a non lasciare traccia nella hit parade dei personaggi di successo stilata da Forbes, ma forse meritevole di essere cesellata da un autore capace di disegnare quel mondo alla rovescia. Le storie dei tre, come quelle del piccolo poeta Eduard o di Hoyer, sono storie marginali di "giovani titani" in una Amsterdam da cartolina, sulle quali Jan Hendrik Frederik Grönloh (aka Nescio, dal latino "non so") getta però una luce simile a quella degli interni di Delft dipinti da Vermeer. L'autore, uomo di successo in una società di commercio, sembra quasi calarsi nei panni di ciascuna delle sue creature, come per mondarsi dal torpore laido di una vita all'insegna di una brillantissima ordinarietà. Ed è grazie a ciò che le Storie di Amsterdam possono arrivare sino a noi come uno dei grandi classici sottostimati della letteratura olandese, per la prima volta in Italia grazie alla scrupolosa attenzione per i lavori nordici dell'editrice Iperborea.