
Due solitudini che si sfiorano e restano intrappolate nella malia dell'amore, potrebbe sintetizzarsi così la passione bruciante che unì Sibilla Aleramo e Dino Campana e che rivive ancora oggi in "Un viaggio chiamato amore", volume ristampato da Feltrinelli nello scorso mese di Febbraio. Il libro racchiude in sé il prezioso carteggio che i due amanti e scrittori si scambiarono in un lasso di tempo che va dal 1916 al 1918: la Prima Guerra Mondiale imperversava sull'Italia ma Sibilla e Dino sembravano ignorarla, imprigionati da un sentimento fatto di luci ed ombre, notti di fuoco e litigi furibondi, dolcezze e crudeltà; l'Aleramo era ancora nel fiore dell'età nonostante i suoi 40 anni mentre Campana, poco più che trentenne, presentava quel fascino e quell'irrequietezza tipici delle mente geniali ed incomprese. Sibilla era reduce dal suo capolavoro, "Una donna", dove si era messa a nudo parlando della sua tormentata vita coniugale e del doloroso distacco dal figlio mentre Dino aveva già prodotto i suoi "Canti Orfici", pubblicati postumi. I due si erano conosciuti intraprendendo una fitta corrispondenza relativa ai loro gusti letterari e ben presto la curiosità di incontrarsi aveva preso il sopravvento. L'appuntamento si verificò il 3 Agosto del 1916 e da quel momento nulla fu più come prima: l'amore tra Sibilla e Dino si insinua in ogni fibra del loro essere e si snoda attraverso notti incandescenti - nel corso delle quali la simbiosi sentimentale e letteraria sarà indissolubile - e momenti tragici in cui Campana, accecato dalla gelosia, arriverà persino a picchiare brutalmente la donna amata. Sibilla è bella, sensuale ed ha avuto numerosi uomini ma ama sinceramente Dino anche se le gioie di questo amore sono sempre più esigue. Lo scrittore di Marradi, infatti, era vittima di gravi problemi psichiatrici che iniziarono a tormentarlo sin dall'adolescenza. L'Aleramo, dal canto suo, aveva già convissuto con un marito violento ed aveva rinunciato persino al figlio per riconquistare la propria dignità di donna. L'epistolario tra i due amanti è intenso: lei vede nascere in sé il germoglio di un nuovo sentimento e ama disperatamente lui pur non riuscendo a comprendere fino in fondo la psiche del suo uomo; Campana, invece, cerca la donna e ricambia con uguale affettuosità le sue missive ma sempre più spesso si chiude in un mutismo ostinato, riprendendo la vecchia abitudine giovanile di sparire per lunghi periodi ed accettando come unica compagna la natura. Il carteggio, intervallato solo dagli incontri dei due amanti, termina nel 1918 quando Sibilla capisce che, nonostante ami Dino, non ha il potere di salvarlo da se stesso e, seppur con immenso dolore, è costretta ad abbandonarlo al suo destino in un manicomio dove lui troverà la morte nel 1932. L'autrice conservò gelosamente le epistole per tutta la sua vita, soltanto nel 1958, due anni prima della sua morte, ne permise la pubblicazione dopo che per anni il suo ultimo compagno, Franco Matacotta, l'aveva incoraggiata a divulgare il contenuto di esse arrivando persino a trafugarle. "Un viaggio chiamato amore", che ricalca fedelmente le parole pronunciate da Campana per descrivere la corrispondenza con l'Aleramo, è diventato anche un film nel 2002 interpretato da Laura Morante e Stefano Accorsi e diretto da Michele Placido: la pellicola ottenne un notevole successo alla Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia sia per gli attori protagonisti che per l'accuratezza dei costumi. Il carteggio amoroso di Sibilla e Dino è ormai entrato nella leggenda, soprattutto perché entrambi erano dotati di personalità letterarie difficilmente riproducibili e, pertanto, uniche. Leggendo attentamente le epistole dei due scrittori si evince quello struggimento che solo le autentiche storie d'amore riescono a regalare: nella loro preziosità le missive sono vicine alle innumerevoli lettere che gli amanti comuni conservano, possedendo il fascino degli amori impossibili e, proprio per questo, irripetibili.