"Arromog. Gomorra letto da un altro punto di vista", edito da Adef, è il racconto di un operaio che lavora al porto di Napoli dal 1992 e che, dopo aver letto il primo capitolo di Gomorra, decide di vederci più a fondo iniziando la sua indagine personale. Un pamphlet autoprodotto, quindi, con l'intento di "smascherare" quanto Roberto Saviano afferma in Gomorra. Ciro Perna lo fa partendo da motivazioni legittime. Il suo lavoro di portuale a Napoli e la sua passione per la lotta sindacale lo conducono ad approfondire un particolare del libro da cui è rimasto colpito: l'episodio in cui un container pieno di corpi di defunti cinesi si apre accidentalmente mentre viene caricato su una gru e di cui lui, lavoratore nel medesimo porto, non ha alcun riscontro. Il best-seller di Saviano, che quest'anno compie i suoi primi 10 anni e, nel bene e nel male, ha modificato in maniera radicale la percezione del fenomeno camorristico in Italia e nel mondo (ricordiamo che solo ad Agosto del 2009 il libro aveva venduto circa 2.5 milioni di copie in Italia e altri 2 milioni di copie all'estero), è stato concepito con l'intento di fondere romanzo e realtà ed è ancora al centro di polemiche perché si ritiene che alcune situazioni all'interno del romanzo siano inventate di sana pianta e non documentati. Il filone seguito da Ciro Perna ricalca questa obiezione e, vittima dello stesso "copia e incolla" di cui accusa l'autore di Gomorra, finisce per riportare sia spezzoni di interviste su Saviano, sia parti del libro stesso.
Si potrebbe quasi dire che delle 129 pagine del libro, un buon 50% sia frutto della penna di Saviano, il 40% di interviste e documenti di altri giornalisti e la restante parte sia un mix tra invettive, a volte un po' troppo scurrili, e farina tratta dal sacco dell'autore. Ciò che Perna rimprovera a Saviano è il voler creare con la sua opera una commistione di fatti reali, uno dei più grandi sunti della cronaca giudiziaria camorristica degli ultimi 20 anni costruito su articoli e sentenze, con elementi di fantasia. Tuttavia, l'intento dell'opera è quello di voler essere un romanzo, un romanzo che attinge a piene mani dalla realtà: per definizione un romanzo può contenere elementi di fantasia e non sarebbe neanche il primo caso nella storia della letteratura mondiale. Inutile scovare interviste al padre di Roberto Saviano in cui si ribadisce il carattere introverso dello scrittore e il fatto che questi non sia napoletano ma casertano e che non abbia mai vissuto a Casal di Principe. Inutile sostenere che gli elementi inventati avrebbero potuto mettere in pericolo i presunti personaggi coinvolti, come il sarto Pasquale, o Dolce&Gabbana: il primo è un personaggio di fantasia e i secondi non hanno ritenuto opportuno procedere legalmente. Inutile chiedere a Saviano di rinunciare alla sua scorta personale, in quanto alcuni magistrati impegnati contro la camorra la rifiutano ritenendo di non averne bisogno, facendo un calcolo economico di cattivo gusto: è triste ritenerla un'operazione commerciale e poi magari asserire che Saviano, facendo "nomi" ha messo in pericolo persone. Pertanto questo capo d'accusa, a nostro avviso, risulta vanificato.
La questione dei plagi è quella trattata con maggiore scrupolosità e forse quella da prendere più seriamente in considerazione: Perna chiama in causa il giornalista Piero Di Meo, tra i tanti che vantano dei crediti rispetto all'opera di Saviano e che, nel frattempo, ha pubblicato ben nove opere che prevalentemente trattano di camorra. In effetti, per chi vive di scrittura, può essere molto doloroso sentirsi "privato" del merito che proviene dal fare il proprio lavoro con serietà, ma a tal proposito ricordiamo un articolo della Redazione dell'Huffington Post del 16 Giugno del 2015, quando "Arromog" era già stato scritto, in cui si spiega come si è espressa la Cassazione in merito al contenzioso tra la casa editrice di Cronache di Napoli e Corriere di Caserta, per cui Di Meo lavora, e quella di Roberto Saviano. Se la Corte ammette che su tre dei sette brani riportati è evidente il plagio, non mette in discussione l'originalità e la creatività del libro di Saviano: tuttavia non è possibile stabilire una quantificazione economica del danno poiché un libro gode di un periodo di pubblicazione più lungo rispetto a quello di un quotidiano, che il giorno successivo non è più considerato attuale. A sua volta Saviano è stato costretto a citare tra i suoi crediti quello di Maurizio Clemente, editore di Libra, condannato in primo grado a otto anni e mezzo di reclusione per ricatti a mezzo stampa. Così cade anche la tesi di Saviano protetto da giudici, magistrati e società civile perché assurto a martire.