In quella lunga parentesi che è stata la sua vita appena tramontata, John Berger, critico d'arte e giornalista, amante delle arti e delle lettere, ha dato spazio anche alle sue straordinarie velleità di romanziere, il cui lascito è ancora oggi racchiuso in G., capolavoro avanguardista di oltre quarant'anni fa, prodotto prezioso di una mente lucida e mai banale, capace di gettare uno sguardo ben oltre l'orizzonte delle cose. G. è il nome del protagonista, epigono del langueur fineottocentesco, animato dalla sete della totale autodeterminazione e dalla smania dell'oblio più profondo. Figlio della passione, nato dall'unione tra un gretto commerciante livornese e l'amante statunitense, cresce all'ombra della ruralità inglese, educato dagli aristocratici cugini materni. L'incontro con la madre lo avvicina al socialismo, pur non scalfendone i connotati cinici ed indolenti, compagni ineluttabili di un pellegrinaggio che lo porterà sui principali palcoscenici della Storia. Nell'Inghilterra della sua infanzia, stretta nella morsa dell'inarrestabile svolta industriale, cresce il risentimento degli operai verso il padronato e albeggiano le rivendicazioni del primo sindacalismo rivoluzionario, pronte a confluire in quel collettore universale che sarà la Fabian Society. G., novello "convitato di pietra", novello picaro insomma, sembra portare con sé l'intero carico dell'esistenza, toccando tutti i suoli dove si incateneranno gli eventi a cavallo tra i due secoli. A Milano le proteste popolari si scontrano con i fucili del generale Bava Beccaris; sulle Alpi, il sogno futurista di sorvolare il mondo si schianta al suolo con le ali del Blériot XI di Geo Chavez; a Trieste, la cappa plumbea del dominio austroungarico soffoca i conati indipendentisti di quella terra. G. assiste da spettatore distaccato allo spettacolo della Storia, concedendosi solo all'amore epidermico verso il gentil sesso, sin quando proprio una donna non lo condurrà a prendere finalmente posizione per una causa, a rendersi, dunque, consapevole della propria coscienza politica, sino ad allora trattenuta in una bolla di cloroformio. Pubblicato nel 1972, G., edito in Italia da Neri Pozza con la traduzione di Maria Nadotti, valse all'autore un premio prestigioso come il Booker Prize, pur non esaurendone la straordinaria varietà della produzione letteraria. A Berger, infatti, che all'inizio della sua vita è stato pittore e disegnatore, dobbiamo numerosi scritti sull'arte e sulla fotografia, contributi narrativi, saggi, ma soprattutto una provata integrità morale ed intellettuale. La sua coscienza politica, autenticamente marxiana, gli ha sempre impedito di scendere a compromessi, soprattutto lo ha portato ad insegnare agli altri quel valore che è la condivisione del sapere. Nel 2009, infatti, l'autore inglese donò il suo intero archivio letterario alla British Library, mettendo così a disposizione di tutti - e non del mercato - il suo lavoro e le sue collaborazioni. Proprio la "proprietà" dell'arte, i rapporti di genere e quelli di forza all'interno della società contemporanea sono stati temi spesso riflessi nelle sue opere. Integrità, dunque, anche intellettuale, perché Berger non è mai venuto meno al suo ruolo di "lettore" della Storia, e in questo senso di padre comprensivo e didascalico per chi lo ha amato, mai saccente e pedante, portatore sano di un'eleganza buona e colta che già manca, oggi, a chi si era abituato a leggerlo ed ascoltarlo dal suo "buen retiro" in Alta Savoia.