
Cos'hanno in comune un commesso viaggiatore boemo ed un impiegato ordinario che vive e lavora in Giappone? Assolutamente nulla, se non la condivisione di un destino drammaticamente surreale ma al tempo stesso rivelatore delle angosce e della dimensione più recondita del genere umano. Se Gregor Samsa, protagonista de La Metamorfosi di Franz Kafka, scopre al risveglio di essersi tramutato in un orrendo, gigantesco scarafaggio, il protagonista de Il quaderno canguro di Kōbō Abe, un semplice, modesto impiegato, avverte uno strano formicolio alle gambe, mentre sta facendo colazione, preludio alla inquietante, rivelatrice coperta: un fitto strato di daikon, una sorta di ravanello nipponico, sta poco alla volta rivestendo la sua pelle. Di lui non sappiamo nulla, ad eccezione della proposta che ha lanciato in un concorso interno alla sua impresa di cancelleria: la realizzazione di un quaderno canguro, idea tanto balzana da suscitare la curiosità del suo capo, che gli commissiona il lavoro. L'allerta scattata nel protagonista - tuttavia - lo conduce a rivolgersi a più centri specializzati: dapprima ad una clinica dermatologica, dove nessuno riesce a trovare una risposta plausibile a quel fenomeno; successivamente ad un centro termale, le cui acque sulfuree faranno da apripista ad un viaggio onirico tappezzato di epifanie ed allucinazioni. A bordo del suo lettino ortopedico, il protagonista viaggerà sino alle rive del Sanzu, una sorta di Cocito (o Acheronte) ante litteram, frontiera ideale tra il mondo dei vivi e l'aldilà. Qui dei piccoli demoni intonano inni sacri buddhisti, mentre le acque avviluppano tanto il viaggio distorto del malcapitato che la cornice narrativa della storia. Tutto, ad un tratto, diventa torbido e sfumato: tempi e luoghi del racconto si fanno imprecisati, i salti del protagonista da un luogo all'altro si moltiplicano, la storia procede attraverso una congerie di tappe affastellate che ne impennano la tensione narrativa. E' la dimensione del sogno, bellezza. E così compattezza e solidità narrativa lasciano lo spazio ad immagini fuori fuoco e quasi inarrestabili, nonché ad un viaggio allegorico-dantesco in una dimensione atemporale che non è tuttavia un Inferno da Commedia, ma piuttosto un mondo ultraista quasi borgesiano. Il sogno in Abe diventa una descrizione didattica di un mondo preda di una evoluzione inarrestabile, dai prodromi di trasformazioni sfumate e per questo incomprensibili, specie per l'umanità contemporanea ormai incapace di comunicare. Il sogno-labirinto diventa così diventa metafora di un mondo che appare senza vie d'uscita, prigione immensa e claustrofobica per un uomo che non sa più riconoscere se stesso. Scritto nel 1991 da Kōbo Abe, figura di spicco della cultura orientale del '900, Il quaderno canguro è arrivato in Italia solo nel 2016, grazie alla casa editrice Atmosphere Libri ed alla traduzione curata di uno studioso appassionato come Gianluca Coci, nipponista di lungo corso e grande esperto di letteratura giapponese.