Jean-Claude Izzo, "La trilogia di Fabio Montale" (Edizioni E/O, 2011). Montale è uno sbirro poco sbirro. Perché indaga, ma è costretto a farlo confrontandosi con lo spazio, geografico ed umano, che lo avviluppa. E' vero, a Marsiglia c'è il mare, e davanti al mare "la felicità è un'idea semplice". Ma non c'è nessuna concessione all'iconoclastia turistica, alla cartolina patinata. Marsiglia è una città dove anche perdere - al Porto Antico come nei quartieri borghesi - significa schierarsi, dove i suoi due predecessori hanno finito per perdere persino la vita. "Casino Totale", "Chourmo" e "Solea" raccontano la parabola atarassica di Montale, molto uomo e poco sbirro, segnato dalla violenza e dalle pulsioni xenofobe dei colleghi, chiamato a muoversi nel vorticoso labirinto di quelle relazioni pericolose che legano i bassifondi, la malavita e la città-bene, impacchettato dalle banlieues incendiate dalla rabbia multirazziale e dai fin troppo tollerati deliri del Front National. Non c'è acqua marina che disinfetti le ferite o lenisca la putrida perversione dei rapporti di forza della società: la felicità resta un'idea, sfumata come un cielo blu cobalto o una morte in mare aperto.
Max Aub, "Delitti esemplari" (Sellerio, 1981). Ogni guerra ha le vittime che merita - direbbe Montalbàn - ma in ogni caso le vittime morali sono quasi sempre uguali in numero a quelle in carne ed ossa. Max Aub fu una vittima della diaspora repubblicana seguita alla Guerra Civile spagnola che portò all'ascesa del franchismo: rinchiuso in un campo di lavoro perché militante comunista, costretto a riparare in Messico, visse una vita in confino lontano da quella penisola iberica che aveva eletto a terra d'adozione, a dispetto dei natali francesi. Critico, scrittore e giornalista, provocatore ed eccentrico, fu autore della biografia di un pittore mai esistito, scrisse un'antologia di autori stranieri inventati di sana pianta, pubblicò un libro dal titolo "Delitti esemplari" in realtà mai commessi. Sì, perché gli assassinii di Aub sono in realtà placide confessioni di delitti ipotetici, "desiderati", intenzioni cruente della quotidianità date surrettiziamente per compiute: rappresentano, cioè, la consumazione surreale, impunita, della pulsione omicida dell'individuo. "Lo uccisi perché era idiota, perfido, scemo, tardo, stupido, mentecatto, ipocrita, ignorante, burino, buffone, gesuita, a scelta. Una cosa si accetta, due no". Quaranta pagine, poco più di ottanta delitti immaginati e confessati. Esemplari, perché "uccidere è come bere un bicchier d'acqua".
Eraldo Baldini, "Gotico rurale 2000-2012" (Einaudi 2012). Qualche anno fa mi capitò di vedere Ubaldo Terzani Horror Show di Gabriele Albanesi (così così, risultati non all'altezza delle intenzioni), e venni così a sapere che la figura dell'allucinato protagonista era un omaggio allo scrittore romagnolo Eraldo Baldini, col quale il regista in passato avrebbe dovuto scrivere una sceneggiatura per un film. Baldini è scrittore che ha dato voce alle leggende della sua terra, immersa sovente nella nebbia e nelle paludi che circondano l'ampio Delta del Po o nei boschi selvaggi dell'appennino emiliano-marchigiano. Lo scenario lugubre e claustrofobico fa da cornice alle variazioni in rosso dei racconti, tutti incentrati sul tragico epilogo delle vite di vittime innocenti e spesso imberbi. L'atmosfera arcadica e perturbante della campagna incombe come una cupola concava sulle vicende delle short stories, dodici nella prima edizione del 2000, arricchite con ulteriori sei racconti nel 2012, dei quali cinque già usciti in altre antologie ed un inedito. L'infanzia e l'intenzione-attenzione antropologica dell'autore vengono dunque alla ribalta, e con esse l'interesse mai sopito per la ruralità primitiva e sanguigna della sua terra e il suo patrimonio orale, portatrice di domande e potenziali epifanie sulla natura delle cose umane, quella che si cela dietro una partita a pallone o una tranquilla passeggiata in collina, nel regno della "Borda".