
Georg Simmel "La moda", (Mondadori, 2001). La filosofia e la sociologia tedesca si fondono in un saggio quanto mai attuale, affrontando uno degli aspetti socio-culturali che mai vedrà tramonti. Tema centrale dell'analisi di Simmel è la moda. Si potrebbe apparentemente pensare di avere dinanzi un libro dalle pagine ingiallite e dallo stile retrò, ma la data della prima pubblicazione, 1910, non dovrà trarre in inganno. Si tratterà, al contrario, di un'intensa lettura su uno dei fenomeni di transizione più interessanti che siano stati mai trattati dalla filosofia moderna. Nonostante il secolo intercorso, è questo un testo che affascina per la sua straordinaria vicinanza ai tempi attuali. E' dunque il caso di parlare di corsi e ricorsi storici. La moda che nasce, cambia, si trasforma con una dinamicità sempre crescente, fino a ritornare al punto di partenza, come a voler ripercorrere da capo il suo ciclo vitale. Parlare di moda significa entrare in un circolo vizioso, del quale si potranno comprendere le dinamiche di formazione attraverso l'occhio esperto dell'attento osservatore tedesco. Partendo dalla situazione delle donne nella Germania del XV secolo, Simmel giunge alla radice del fenomeno, facendo così emergere le due condizioni fondamentali, senza le quali la moda in sé non potrebbe sopravvivere: conformità e distinzione. Il primo aspetto è quello tipico delle società primitive, in quanto all'interno di esse vi erano leggi e tradizioni particolari che dovevano essere rispettate per poter essere accettati nella comunità. C'era la necessità di conformarsi a principi ben precisi che difficilmente erano messi in discussione; ragion per cui non sussisteva la necessità di esprimere la propria individualità all'interno di una cerchia così compatta e fossilizzata. La distinzione è una prerogativa delle società moderne, che si distinguono dalle comunità passate per la loro composizione più articolata. Le società civilizzate sono alimentate dalla presenza di più gruppi. In questo caso è la loro stessa struttura mosaicata a generare all'interno di un gruppo il bisogno di differenziarsi da un altro, al fine di manifestare la propria unicità. Oltre che un viaggio a ritroso alla scoperta della linfa vitale che anima le società odierne, "La moda" si presenta come un'avventura che si spinge fino al nocciolo della personalità filosofica di Simmel.
Ugo Pirro "Il cinema della nostra vita", (Lindau, 2001). Un sodalizio a tutti gli effetti è quello che ha tenuto salda la profonda amicizia tra il regista Elio Petri e lo sceneggiatore Ugo Pirro negli anni più turbolenti del dopoguerra italiano. Per poter comprendere la loro storia e cosa effettivamente significò per i due dedicare interamente la vita al cinema, bisogna soffermarsi sull'assetto storico che si staglia alle loro spalle. Gli anni '60 furono un periodo di transizione tra una lenta ripresa dell'Italia, che si rialza dagli sfasci in seguito alla Seconda Guerra Mondiale, e quello che sferzerà il colpo finale ad un paese ormai vulnerabile, costretto a ricadere nel baratro con gli anni di piombo. Ad infervorare ancor più gli animi vi è la Democrazia Cristiana, partito di ispirazione democratico-cristiana e moderata, che resse le redini del governo per oltre trent'anni, dal secondo dopoguerra fino agli anni '80. Il suo fu un piano di ricostruzione teso a rimettere in sesto il territorio, trascurando purtuttavia l'aspetto culturale. In una situazione così caotica Pirro e Petri incroceranno le loro strade non per motivi lavorativi, legati alla loro carriera, bensì in occasione di uno dei tanti dibattiti tra gli esponenti del partito comunista italiano, di cui entrambi erano ferventi sostenitori. L'astio che si venne a creare tra loro e la società che li teneva in catene fu il vero pretesto che spinse i due a vivere in una reciproca simbiosi. La politica governativa, da parte sua, rispondeva con l'ostracismo verso i cineasti di sinistra che manifestavano la volontà di inserire nei propri film un forte impegno civile. Il bisogno di avvicinarsi al cinema, avendo l'uno per l'altro sempre una spalla forte su cui poter contare, rappresentò per entrambi un istinto reazionario contro il governo. I due portano avanti la loro collaborazione spinti da un senso di rabbia e insieme di una frustrante sensazione di impotenza politica, di disagio e ostilità verso chi era solito usare il pugno di ferro. Nei loro film, grazie ai quali ottennero sempre grandi meriti e successo, era vivo l'intento di denunciare le aberrazioni del potere, il degrado in cui riversava la classe operaia, la voglia di abbattere anche solo idealmente con la loro cinepresa il mondo del capitalismo. Con "Il cinema della nostra vita" Ugo Pirro ripercorre non solo le tappe della propria carriera al fianco del grande regista Petri, ma lascia al lettore anche uno scorcio dell'Italia negli anni più turbolenti del post guerra.
A cura di Alfonso Amendola e Mario Tirino "Romanzi e immaginari digitali. Saggi di mediologia della letteratura", (Gechi Edizioni, 2017). Il mondo del web 2.0 incontra i classici della letteratura e del cinema europeo. Il volume di estrema attualità analizza alcune opere cardine che hanno segnato l'immaginario collettivo, valorizzando al loro interno gli aspetti che al meglio si confanno ai fenomeni sociali e tecnologici interconnessi alle culture digitali. La sfera pubblica, la produzione culturale, le economie sociali e globali si presentano come terreno fertile per i nuovi media digitali, che con grande velocità ristrutturano le società contemporanee. Ciò che emerge è la nuova immagine di un medium letterario. Il primo a proporre teorie al riguardo fu il sociologo canadese Marshall McLuhan. Le opere letterarie basano le loro fondamenta su un apparato tecno-mediale. Per siffatta ragione, seguendo un'ottica mediologica, sarà interessante notare come nello "Spleen di Parigi" Baudelaire veda la noia come una negazione salvifica. Il senso di malessere stimola la voglia di un viaggio vitale verso i vicoli più nascosti della grande metropoli, che si diramano verso infinite altre strade e realtà, proprio come accade in rete con i link, gli ipertesti, i pop-up. Stessa dinamica è ripresa, per fare un ulteriore esempio, da J.J. Abrams e Doug Dorst con il romanzo "S., La nave di Teseo di V.M. Straka", 2013, divenuto esempio per eccellenza di transmedialità. Attraverso eventi, foto, tracce, cartoline e mappe inserite tra le pagine volutamente ingiallite di un romanzo tanto attuale, si giunge verso un unico obiettivo. Nelle comunità globalizzate del web moderno forte è anche la tematica dell'etichettamento, positivo o negativo che sia. Lo stesso meccanismo che per secoli ha alimentato la gogna pubblica. Sulla base di questo modello punitivo si sviluppa il romanzo di Nathaniel Hawthorne "La lettera scarlatta". L'etichetta, usata come un'arma per trovare il capro espiatorio e rendere virale l'evento con tutte le sue conseguenze, fino al compimento di atti estremi in segno di liberazione dal peccato. Attraverso nove saggi ed altrettanti esempi letterari e cinematografici si sviluppa un percorso di rimediazione e scoperta delle mille sfaccettature che un'opera può e sa nascondere alla perfezione.