"[...] pieni di 'niente' e sazi di tutto". E' su questo verso, tratto dalla strofa pentastica, - un "bluff" 2000 su di un pezzetto di carta - che l'autore, Daniele Bertoni, decide di improntare l'insieme dei suoi scritti sparsi. Il suo è un invito disincantato alla lettura. Il contenuto di questo "Zibaldone" può apparire ostico ad una prima lettura. Strofe che si susseguono senza un preciso ordine cronologico ruotano intorno a tematiche apparentemente scollegate tra loro. Pensieri introdotti, poi lasciati incompleti e ripresi solo successivamente con un attento uso di voli pindarici, di cui solo un poeta, amante del mondo onirico, può servirsi. Daniele Bertoni in una nota scritta nel 2005 su un taccuino di viaggio ama definirsi "[...] metafisico-espressionista/ che sfocia nell'astrattismo naif;/ praticamente incomprensibile... /ma in realtà vedo la mia poesia /come quella confessionale". Il suo modo di esprimersi liberamente, senza ricorrere ad un finto perbenismo o possibili allusioni di un aliquid stat pro aliquo, gli consente di giungere dritto al cuore dei suoi sostenitori. Interagisce con i suoi lettori in modo molto diretto, veloce. E' quasi impalpabile la distanza che lo separa dalla sua cerchia di affamati divoratori di libri, coinvolti nel suo mondo più veritiero. Chiunque si avvicini alle sue parole inevitabilmente ne resterà attanagliato. Le sue sono catene che travolgono il lettore, trascinandolo in un mix di concetti dislocati, puri, esenti da orpelli e superflue ampollosità. Gli scritti e le didascalie sono state scelte dallo stesso autore, pertanto appaiono prive di editing da parte di terzi. Il libro in sé non nasce con l'idea di essere stampato. La decisione di pubblicarlo è avvenuta solo in seguito, in quanto il materiale in esso contenuto può essere considerato in un certo senso inedito, data l'impossibilità di reperire quel repertorio poetico. Degli originali non c'è più traccia. Dopo aver trascritto ogni singolo frammento sulle pagine rilegate, l'autore ha gettato tutto il materiale in un fuoco purificatore, mostrando in tal modo una sua completa rinascita. Questo progetto per motivi editoriali nasce senza un'introduzione; gli scritti sparsi sono inseriti nel testo così come sono stati rinvenuti. Tale memorandum, dai tratti tanto enigmatici quanto surreali, presenta nell'insieme frammenti di tanti scritti, bozze e appunti, rinvenuti su supporti di varia tipologia. Seguendo una climax di ascendente tensione verso la paura di essere dimenticato, frainteso o per nulla compreso, emerge un forte senso di distacco dalla sua quotidianità.
Ad assalire Bertoni è un senso di abbandono da una società che lo mette ai margini, con le spalle al muro. E' grande lo sconforto da parte di un poeta che scrive per un pubblico che non sa più leggere; una platea dedita solo ai piaceri effimeri e corporei della vita; un pubblico grezzo, che disprezza le sue parole, l'arte e la poesia, incapace di spingersi oltre e viaggiare con la mente e col cuore. La questione è spinosa e chiaramente intollerabile per l'autore, seguito ormai da un gruppo sempre più elitario di sostenitori. I suoi scritti, il suo stile e il suo modo di esprimere sentimenti e idee sono costantemente sotto i riflettori di quanti si fermano alle apparenze, senza calarsi nei meandri dell'opera. "Scrivere non ha senso alcuno/ in un mondo privo d'intelletto. / Scrivere per chi neppure legge/ porta allo sconforto uno scrittore... [...]". Questo è quanto appuntava nel 2001 all'interno del suo taccuino di appuntamenti. Senza mezzi termini affronta il problema andando dritto al punto: è l'ignoranza e l'incapacità di immergersi in letture profonde che annebbia la vista delle persone, svuotate della loro anima, semplici automi erranti senza una meta. In un diario del 1992, sulla pagina recante in alto la data del suo compleanno, Daniele Bertoni con una vena amara confessava: "ho scritto e sottolineato/ poi definito questo mio pensiero/ l'ho fatto per non dimenticarmi/ che essere poeta oggi/ è assolutamente raro/ quanto assurdo.../ non serve praticamente a niente!". Un niente che riecheggia con tutta la sua potenza timbrica, rimbomba e si ripete con costanza per tutta l'opera. Ogni verso nasconde la paura del vuoto e della perdita del valore prezioso delle parole. Quelli che chiama bluff sono identificati come gli istinti creativi di un attimo, scritti di getto, privi di essenza metaforica, chiari e coincisi. L'efficacia dei suoi versi si esprime attraverso un'eterea bellezza, fluttuante e dinamica. E' il suo modo per potersi diversificare dalla massa, liberandosi da quelle catene che cercano di bloccarlo nella banalità e nell'orrore di questo mondo, "[...] che ogni volta mi spiazza, / mi annienta e alla fine sempre mi annulla", come scriveva nel 2008 sul suo taccuino, fedele compagno di viaggi. I suoi versi rappresentano un excursus a ritroso nella sua vita, ripercorrendo tutte le fasi che hanno caratterizzato la sua carriera sino a quel momento. La scrittura rappresenta per lui un rifugio dalle brutture della società. Con la sua arte non mira a elogi o riconoscimenti, non vuole dimostrare al mondo la sua bravura, tantomeno le sue capacità poetiche. Scrive per sentirsi vivo in un mondo svuotato di virtù e sentimenti puri; pagine e pagine di inchiostro, messe nero su bianco per ricordare non solo a se stesso, ma soprattutto ai suoi lettori più affannati, di non imporsi mai un limite, poiché è con la fantasia che bisogna viaggiare, lasciandola galoppare come cavalli allo stato brado. La sua crudezza, le sue rivelazioni decisamente criptiche ci abituano alla sua vita, alle sue frustrazioni, da cui il nostro riesce a svincolarsi solo tramite la pratica della scrittura; un flusso continuo di parole che scorre inesorabile in un tempo che non gli appartiene più. "Niente" rappresenta per Daniele Bertoni una rivincita, oltre che rivendicazione della propria arte di fare poesia in un mondo lascivo, corrotto e sempre più superficiale.