
Edito da Minimum fax, "La gente. Viaggio nell'Italia del risentimento" del giornalista Leonardo Bianchi, è un libro inchiesta che fa riflettere, anche in maniera socio-antropologica, sullo stato del nostro tessuto sociale. L'opera è un lucido resoconto di 362 pagine che si contraddistingue per il linguaggio ironico e leggero, ma che lascia intravedere una ricostruzione dei fatti accurata e molto puntuale di Leonardo Bianchi, che ha messo a frutto la sua esperienza di cronista per Vice, grazie a cui ha negli anni seguito da vicino proteste e manifestazioni nelle periferie italiane. Della rete, dei social network e del loro potere di diffondere conoscenza e mistificazione si è detto tutto ormai, ma interessante è il tentativo da cronista di Bianchi di coniugare e ricostruire alcuni tra i più recenti fatti di cronaca e fenomeni di costume, attraverso le tracce e le attività lasciate sui social network e sulla carta stampata dai loro protagonisti. Ne vien fuori il ritratto di un Italia becera ma soprattutto assolutamente impreparata a gestire e riconoscere le tante "bufale" che circolano sulla rete, le quali vanno a detrimento perlopiù di quei partiti politici che sfruttano la paura, la rabbia e il risentimento dei cittadini. La rabbia e l'esasperazione, insieme e disinformazione e mistificazione, sono le molle che spingono gli italiani a reagire alle notizie false spesso nel peggiore dei modi. Le sentinelle in piedi, i forconi, il popolo viola, i no-vax, le proteste anti-migranti nelle periferie romane e le barricate di Gorino, sono perfetti esempi del potere mobilitante della rete, ma anche del suo fallimento perché non sempre l'indignazione online corrisponde ad un vero e proprio impegno offline. Bianchi ricorda che il termine "populismo" con cui solitamente si allude al modo con cui la classe politica cerca di stabilire un rapporto fiduciario con chi rappresenta, ha assunto una connotazione più spinta ed ardita a partire da "Tangentopoli", grazie a cui l'evidente fallimento della politica ha generato l'odio del popolo per la "kasta" e le élite in generale. Il populismo infatti diventa "gentismo", ossia non la capacità della classe dirigente di recepire le esigenze dell'uomo comune ma quella di blandirlo, assecondarlo, spaesandolo e disorientandolo in una realtà già liquida e frammentata. Tale atteggiamento ha fatto la fortuna di Beppe Grillo e del Movimento 5 Stelle, che proprio nel 1992 conia, durante uno dei suoi spettacoli teatrali il termine "gentocrazia". La gag prevedeva che persone comuni potessero intervenire telefonicamente dal palco per dire la loro: un gesto insolito per l'epoca che è stato in qualche modo un simbolico apri-pista della politica del Movimento. Il termine "gente" e i suoi derivati finisce per assumere dei connotati di vuoto contenitore all'interno del quale convivono indistintamente uomini comuni, persone senza credibilità e ottimi comunicatori in grado di arrivare ai più alti scranni. Gli unici punti comuni a tutti sono la rabbia verso la Casta e l'odio trasversale verso chi si ritiene privilegiato ed infine la tendenza al fare e a credere al complottismo. Intorno al concetto di popolo si sono sviluppati, col passare dei secoli, i concetti di nazione e democrazia: la sua degenerazione nel gentismo - molto simile alla "folla" di cui parlava LeBon nei primi del '900 - sta facendo implodere da dentro non solo il modo di fare politica, ma il concetto stesso di democrazia. Inutile negare l'importanza avuta dal Movimento 5 Stelle nel ribaltare il modo di gestire la res publica dell'ultimo decennio in Italia e di come molti, a partire dai partiti ideologicamente affini come Lega Nord, Casapound e anche una certa sinistra e continuando per alcune webstar come er Faina o Annarella, si siano appropriati di questo strumento. Un saggio - questo di Leonardo Bianchi - che ricostruisce la nostra storia più recente la quale merita di non passare inosservata, ma, anzi di essere rivalutata e compresa più a fondo in quanto diretta conseguenza del futuro più immediato.