Lo scorso gennaio il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha nominato un nuovo senatore a vita "per altissimi meriti nel campo sociale": il suo nome è Liliana Segre. Ma chi è questa distinta signora che pochissimi giorni fa ha varcato per la prima volta l'ingresso di Palazzo Madama suscitando un lunghissimo applauso? Per conoscere la sua storia occorre fare un passo indietro nel tempo e per compiere questo viaggio ho deciso di leggere "La memoria rende liberi" di cui la signora Segre è coautrice insieme al noto giornalista Enrico Mentana, volume pubblicato nel 2015 dalla casa editrice Rizzoli. La piccola Liliana nasce nel 1930 a Milano in una famiglia ebrea: la bimba perderà dopo pochi mesi sua madre - stroncata da un tumore all'intestino - e sarà cresciuta dal papà Alberto e dall'affetto dei nonni, soprattutto quelli paterni. La mancanza della madre sarà fortemente attutita dal profondo rapporto che Liliana avrà la fortuna di stringere col padre, un uomo buono e pieno di amore per quell'unica figlia da cui la sorte lo separerà prematuramente. L'idilliaca infanzia della bambina si sgretolerà nel 1938 quando in Italia vennero promulgate le leggi razziali che le vietarono di fatto di continuare a frequentare la scuola: da quel momento in poi avrà inizio la parabola discendente dei Segre, costretti fino al 1943 - anno in cui Liliana ed il padre saliranno sul treno diretto ad Auschwitz - a vivere come dei clandestini la cui unica colpa era quella di essere ebrei. I nonni paterni della ragazzina morirono subito dopo l'arrivo al campo di concentramento perché uccisi dalla furia omicida dei soldati tedeschi mentre Liliana fu separata dal padre subito dopo aver messo piede ad Auschwitz vivendo per mesi nell'illusione di riabbracciarlo. Soltanto anni dopo, in seguito ad approfondite ricerche, scoprirà che l'amato papà era deceduto tre mesi dopo il suo arrivo nel campo della morte. Il libro ripercorre l'intera esistenza di Liliana ma, come è giusto che sia, si sofferma soprattutto sulla sua permanenza nel campo di Auschwitz - Birkenau durata complessivamente un anno e mezzo. 18 mesi in cui la donna entrò in contatto con gli aspetti più brutali dell'essere umano, con le ignominie peggiori che una mente possa solo concepire. Sono tanti gli aneddoti narrati da Liliana: le ore di lavoro, i miseri pasti insieme a centinaia di donne che lottavano per la sopravvivenza, i momenti in cui il gelo provato nel corpo si confondeva con i brividi dell'anima, gli sguardi sprezzanti dei nazisti che sottoponevano quasi quotidianamente i detenuti a rigide selezioni, l'abbrutimento e lo squallore in cui trascorrevano le interminabili giornate. Liliana ricorda spesso che la volontà di vivere è stato l'unico motivo che l'ha spinta a resistere, insieme alla speranza di riabbracciare il padre, quel genitore che arrivò a gesti estremi - come prendere a testate il muro - quando iniziò a rendersi conto che ogni sforzo era vano per sfuggire alla furia cieca del nazismo. Il ritorno in Italia dopo la liberazione da parte degli Alleati vide una giovane profondamente diversa rispetto alla bambina che era partita solo un anno e mezzo prima, Liliana infatti era diventata vecchia dentro, come se avesse sulle spalle centinaia di anni. Mentre le sue coetanee si affacciavano alla vita adulta, vivevano i primi amori, assaporavano le uscite serali e le feste, Liliana possedeva la stessa grazia di un animale cresciuto in cattività, ingrassava perché ingurgitava qualsiasi cibo dopo mesi e mesi di stenti, provava disinteresse nei confronti di qualsiasi rapporto umano. Il miracolo della sua rinascita avvenne solo grazie all'incontro con Alfredo, il suo unico grande amore da cui sono nati tre figli, ovvero Alberto, Luciano e Federica. La donna ripercorre con un velo di nostalgia la sua storia matrimoniale descrivendo il compagno come un uomo speciale il cui unico obiettivo era quello di proteggere la moglie da qualsiasi sofferenza dopo l'inferno che aveva vissuto: un ricordo dolcissimo che traspare chiaramente dalle pagine del volume. Ma Liliana non aveva ancora pagato del tutto il suo scotto con il dolore. La signora Segre spiega infatti che negli anni Settanta una profonda depressione si impossessò di lei. Solo al termine delle cure Liliana si rese conto di essere una delle poche testimoni dell'Olocausto e che il suo compito terreno non era stato solo quello di essere una buona moglie ed una buona madre, il vero obiettivo della sua esistenza era portare la propria testimonianza a chi non aveva vissuto - per fortuna - gli orrori di cui lei era stata vittima. Da quel momento in poi è iniziato il lungo percorso che l'ha portata in giro per l'Italia, nelle scuole soprattutto, per illustrare la sua esperienza di sopravvissuta.
La lettura de "La memoria rende liberi" mi ha travolta. Gli anni di studio non preparano nessuno ad una testimonianza così meticolosa. L'unico libro che avevo letto sul tema dell'Olocausto era il "Diario" di Anna Frank ma la narrazione di una prigionia, seppur durissima, non può essere equiparata ad una vicenda come quella di Liliana Segre. Le domande che mi sono posta dalla prima all'ultima pagina sono state due: "Come può un essere umano concepire simili abomini? Come può un altro essere umano sopportare simili abomini?". I miei quesiti non hanno trovato una risposta e sono giunta alla conclusione che la nostra generazione e quella dei nostri genitori sono state e sono terribilmente fortunate. La profonda dignità di Liliana e la sua compostezza nel narrare stupiscono ma credo che questa donna sia riuscita a sopportare un simile dolore e a metabolizzarlo, anche se sono occorsi anni, soltanto grazie all'amore che l'ha circondata intensamente da bambina. E' come se fino ai 13 anni fosse riuscita a nutrirsi così tanto di affetto che le brutture che è stata costretta a sperimentare sulla propria pelle siano state più "sopportabili". Il volume non è strutturato come un'intervista, conclusione a cui si potrebbe giungere dato che uno degli autori è proprio Mentana, giornalista di comprovata esperienza, bensì è un racconto affidato unicamente alla voce di Liliana, scelta che rende estremamente agevole la lettura. E' un libro che, a mio avviso, andrebbe letto nelle scuole perché spesso i programmi ministeriali non forniscono l'esatta percezione del capitolo più atroce della storia contemporanea. Solo grazie all'istituzione della "Giornata della memoria", nel 2005, ha avuto inizio un lavoro di conoscenza adeguato che ha reso note le reali proporzioni di quanto accaduto, ma un giorno all'anno non basta, ecco perché è necessario un lavoro costante e capillare affinché una pagina così buia della storia umana non si ripeta ancora. In questo senso la decisione presa dal Presidente Mattarella, ovvero quella di insignire la signora Segre della carica di senatore a vita, appare particolarmente felice perché vicende come la sua sono determinanti e perché lei è una delle poche testimoni viventi da cui è ancora possibile per le nuove generazioni apprendere quanto realmente accadde. Ai nostri giovani occhi i sopravvissuti all'Olocausto appaiono come eroi ma Liliana Segre non ama questo appellativo, si definisce infatti una persona comune e non riconosce a se stessa alcun merito, "la mia salvezza è un puro caso" è solita ripetere ancora oggi. "La memoria rende liberi" è un documento prezioso da leggere con particolare attenzione, è un pugno nello stomaco che mette ognuno dinanzi alle proprie responsabilità ma, soprattutto, scuote le nostre coscienze sopite e ci aiuta a capire che l'unico pericolo che potrebbe innestare una nuova sciagura è l'indifferenza, quell'assenza di emozioni che allontana l'uomo dai propri simili decretando, inevitabilmente, la fine dell'umanità.