
La paura a volte può giocare brutti scherzi. Afferra l'animo umano in una morsa, atrofizza il corpo, uccide i sensi. Questo è il quadro che l'autrice, nonché giornalista e critico musicale, Valentina Farinaccio, dipinge con estrema minuzia e armonia nel suo nuovo romanzo, "Le poche cose certe", edito da Mondadori. Poetico è lo stile che accompagna il lettore, idealmente proiettato sul tram n ° 14, al fianco del protagonista, che attraversando via Prenestrina giunge a Roma. E' una città diversa dal solito, lontana dai fasti gloriosi della capitale, "ha il colore dell'inizio di febbraio. Quel colore freddo, ma trasparente, del peggio che è passato". Roma viene vista da un'altra prospettiva, con gli occhi di chi ne ha passate tante ma senza quel sorriso di chi è riuscito a superarle tutte. Sarà Arturo il nostro compagno di viaggio, l'uomo che impareremo ad amare, perché così vicino ad ognuno di noi, ma anche ad odiare per le troppe opportunità perse, per i tanti piani mandati al vento, per quel treno che non riuscirà mai a prendere al volo. Perché non tentare? Perché non provare il tutto per tutto,invece di lasciarsi trascinare in balia di quel flusso vitale che ci trascina con sé nel suo moto impetuoso? Arturo incarna perfettamente la figura dell'inetto di cui nel Novecento tanto scrisse Italo Svevo, più incline alla contemplazione che non all'azione. E' come se assistessimo al ritorno di un moderno Zeno Cosini, che dopo oltre un secolo fa tappa nella capitale italiana per vivere finalmente la svolta che per tutta la sua esistenza ha tentato di raggiungere. Il cambiamento a cui, suo malgrado, non assisteremo neanche oggi. Arturo incarna alla perfezione l'uomo "malato" nella volontà e nello spirito, incapace di scegliere, di vivere. Arturo si era convinto di potere una vita speciale ma poi non muoveva passi, verso l'ignoto, per paura di una vita vera. Il risultato era una vita fasulla, come quella delle formiche inoperose. E' una persona tanto difficile da descrivere quanto da avvicinare. E' un uomo apparentemente vuoto, così chiuso ed introverso. A vedersi, sembra una persona come tutte le altre, che passa inosservata, confondendosi nei colori spenti e grigiastri della massa. Ma Arturo ha tanto da raccontare a chi sarà in grado di ascoltare non con le orecchie, come si fa in genere, ma col cuore. Il nostro protagonista si ritrova catapultato in un mondo che non sente proprio, dal quale vorrebbe scappare, ma neanche in questo è bravo. Arturo sa evitare le situazioni spiacevoli, preferisce lasciare correre invece di rincorrere il proprio obiettivo. Ama guardare da lontano con disincanto ogni evento in cui si trova immerso ma non ha mai la determinazione e il coraggio di prendere una posizione. La prima volta che Arturo salirà sul tram n ° 14 all'inizio del romanzo sarà nel pieno della sua età matura. Ha 40 anni, ma mai come in questo caso l'età rappresenta un mero numero, privo di significato alcuno, perché per tutto questo tempo, nel corso della sua vita, non ha mai attuato un cambiamento. Arturo è un uomo che diffida di tutto, della vita, dei suoi affetti. Tra le varie fobie c'è quella dei ragni ma, soprattutto, ha paura di amare. Per questa sua personalità così ombrosa, questo rebus tanto enigmatico che ne rappresenta il carattere schivo, si mostra agli occhi delle donne col fascino tipico di quegli uomini maturi, che nella profondità del loro sguardo nascondono il loro mondo. Ed almeno in questo non delude. Ammalia e seduce le donne che incrocia sul suo cammino ma poi non può fare a meno di abbandonarle. Sa farsi amare, sa far innamorare, ma non riesce a ricambiare, a provare qualcosa di realmente forte che lo spinga a dare il massimo in ogni relazione. La paura di una eventuale delusione è tanta. Forte è il timore di provare sulla propria pelle il dolore che ogni volta, in ogni nuova storia, arreca alle povere malcapitate. Nulla accade per caso ed arriva un momento nella vita in cui non si può far altro che prendere una decisione. Non si può restare in eterno nell'oblio ed è quello il momento in cui dinanzi al bivio Arturo prende finalmente coraggio per cercare di conquistare colei che nel nome racchiude l'isola decantata dal grande Platone, Atlantide. Ma sono passati ben 10 anni da quando il nostro protagonista non sale più sul tram n °14, lo stesso che usava per raggiungere quella donna, che per la prima volta nella sua vita era riuscito ad amare. Il mistero che avvolgeva gli occhi della bella Atlantide lo bloccava al punto tale da sentirsi sempre fuori luogo. Ogni tentativo di riuscita equivaleva per il nostro a due passi indietro. La paura di non arrivare in tempo al suo traguardo lo rendeva fragile e incapace di proseguire. Ed è sempre l'ansia di sbagliare, di non arrivare in tempo, che gliene farà perdere altro ancora, introducendo il povero Arturo in un circolo vizioso. Il dolore, lo sconforto, i rimorsi e il senso di perdita di un momento che non ritornerà mai più, con l'avanzare degli anni pesano e si bloccano proprio al livello dello stomaco, che si gonfia di quel gusto amaro della sconfitta. L'amore non è sicuramente l'elemento principale di questo romanzo così intenso ma ne rappresenta senza ombra di dubbio la cornice. L'amore guarda Arturo da lontano, ne scruta i movimenti, ma resta sempre in disparte nell'attesa di un cambiamento drastico, capace di stravolgergli l'esistenza. Una riflessione sulla vita che Arturo così timidamente ci ha raccontato sorge spontanea. Quest'uomo rappresenta l'emblema dell'italiano medio, che vive di incertezze, di paure, di speranze apparentemente irraggiungibili, che non riesce a muovere un solo passo senza prima sentire sulla propria pelle una sensazione di vuoto devastante. Ma Arturo non ci invita a prendere il suo posto sul tram n °14, non ci invita a seguire il suo esempio di vita, tutt'altro. Lo stile, tanto magnetico quanto poetico, di Valentina Farinaccio non fa altro che offrirci il la per aprire la porta della speranza e del cambiamento. Ci mette dinanzi ad un bivio e ci costringe a scegliere, perché il tempo è prezioso e tutto quello perso mai nessuno potrà restituircelo.