
"Se si proponesse a tutti gli uomini di fare una scelta fra le varie tradizioni e li si invitasse a scegliersi le più belle, ciascuno, dopo opportuna riflessione, preferirebbe quelle del suo paese: tanto a ciascuno sembrano di gran lunga migliori le proprie costumanze". Queste le parole dello storico Erodoto quando veniva interrogato a proposito della maestosità e bellezza dei riti antichi: nulla di più vero. Tuttavia è anche vero che i rituali tradizionali da sempre sono viatico di coesione di un popolo e di differenziazione dello stesso da un altro. In questo caso, la nostra ricerca in giro per l'Italia si concentrerà su ciò che accomuna le persone, facendo riscoprire legami anche dove le presunte differenze culturali sembrano inconciliabili. Il "Majo" o "Maio" è uno dei riti arborei italiani più antichi: le sue origini si perdono nel paganesimo e come tale viene riassorbito e riadattato alla più "recente" tradizione cattolica. Diversi e anche lontani tra loro i luoghi della penisola dove il Majo viene celebrato, ognuno concentrandosi su particolari aspetti, a partire dal piccolo comune di Baiano, nell'avellinese, in una scalata progressiva dell'Italia che si conclude a Lamon, paesino del bellunese al confine col Trentino Alto-Adige. Ad accomunare tutti i riti è il viscerale legame tra uomo e natura, che si evince nel ciclo vita-morte-rinascita: salutare l'arrivo della primavera e propiziare il raccolto completano il quadro di una tradizione che ricorda e perpetra le origini contadine del popolo italiano. Cronologicamente il primo a propiziare abbondanti messi è Baiano, che accomuna il rituale del Majo al Santo Protettore del Paese irpino: Santo Stefano. La festività, molto sentita, inizia già dal 13 Dicembre con un gran numero di Messe notturne e si conclude il 27 dello stesso mese, quando un grande albero, precedentemente scelto dai "mannesi", viene abbattuto e condotto a bordo di un carro trainato da cavalli e issato al centro del paese di fronte alla Chiesa dedicata al Santo. Il percorso, accompagnato da una processione festante di gente in costume tradizionale che fa rullare tamburi ed esplodere colpi da antiche carabine, si arresta e diventa un religioso silenzio fin a quando un cittadino prescelto recide la fune centrale che tiene l'albero ormai issato. La giornata si conclude con falò di fascine attorno a cui la gente festeggia: da notare che il Majo non viene bruciato, ma fatto a pezzi a fine festa. Verrà poi venduto e il ricavato destinato alla Parrocchia. Rimanendo sempre in Campania, ma facendo scorrere l'orologio stagionale al 1 Maggio, ritroviamo la celebrazione del Majo sia a Nocera Superiore e Roccapiemonte - Salerno - dove l'arbusto adornato a festa, viene offerto alla Vergine Maria e ricorda la storica rivalità tra i due Comuni, che già dal 1060 si contendevano la Basilica Pontificia di Materdomini, dove è custodito un quadro di epoca bizantina raffigurante la Madonna col Bambinello. Stessa data per il Majo di San Giovanni Lipioni nel Beneventano, ma con rituale diverso: a conclusione della cerimonia religiosa, stormi di persone si riversano nelle strade del paese recando una croce di rose, da cui vengono staccati dei profumati mazzolini che vengono consegnati ad ogni famiglia del paese. Ad ognuna di queste vengono dedicate delle filastrocche beneauguranti tra il sacro e il profano, che oltre ad assicurare un buon raccolto (bonànne), vengono personalizzate a seconda delle esigenze (ammalati in convalescenza, figli in età da matrimonio ecc.). In cambio dell'augurio, ogni nucleo offre un rinfresco a base di salumi, formaggi e dolci tipici della zona. In Abruzzo, a Chieti per la precisione, il 1 Maggio la tradizione invece tramanda un altro tipo di Majo, dove ad essere celebrato non è un arbusto, ma un giovane uomo adornato di un cappello di tela di forma conica ricoperto di fiori. Insieme a lui, 13 ospiti che recitano la "Mesciarule" - Mascherata dei mesi. Ogni partecipante rappresenta un mese e reca indosso un simbolo che lo contraddistingue dagli altri: il tredicesimo partecipante è l'anno. Al termine della Mesciarule va in scena il ballo del "Palo di Majo", la cui danza è molto simile a quella Carnevalesca del Laccio d'Amore che si svolge nei Paesi del Vallo di Lauro, nella Bassa Irpinia: coppie di uomini e donne, si pongono intorno ad un palo - evidente simbolo fallico legato alla fertilità - e, sfruttando una serie di nastri legati all'estremità del palo, eseguono una danza che simboleggia il fiorire dei germogli in primavera. Al termine del rito un fantoccio del Majo viene bruciato in piazza e tutti degustano il "Lessàgne Chietine", una minestra preparata seguendo una particolare ricetta: ogni ingrediente (legumi, verdure ed erbe aromatiche) non deve superare il numero propiziatorio della tradizione, il 9. Ultimo ma non ultimo, l'unico Majo festeggiato nel Settentrione d'Italia, quello di Lamon, nel Bellunese. La notte tra il 30 Aprile e il 1 Maggio gli uomini si aggirano per i boschi che circondano il paese alla ricerca di un larice da abbattere e scorticare - ad esclusione della punta, che resta verde e viene adornata con una bandiera, solitamente quella italiana. Molti sono gli sfottò e le rivalità tra le varie frazioni del paese, più di 20: ognuno ha il suo Majo, che viene issato di fronte alle numerose edicole votive che adornano il paese e che deve essere il più grande e il più bello. Anche in questo caso la festività pagana è stata poi riadattata dall'800 in poi al culto della Vergine Maria. I larici, una volta piantati e assicurati con funi, rimangono al loro posto fino all'anno successivo, quando vengono sostituiti da un albero nuovo. Una volta terminata l'operazione hanno luogo i festeggiamenti nei vari rioni della cittadina. La tradizione del Majo, inoltre, non si ferma al confine italiano: sembra infatti che feste simili si celebrino anche in Ungheria ed in Inghilterra. Insomma una tradizione di tipo "europeo" da riscoprire che potrebbe contribuire a costruire quell'unità e coesione culturale che ancora manca nel nostro Paese ma anche nel Vecchio Continente.