
Roma. "Le fotografie possono raggiungere l'eternità attraverso l'attimo" affermava Henri Cartier - Bresson, uno dei pilastri della fotografia del Novecento e fiero sostenitore delle macchine fotografiche Leica, ed è proprio agli scatti nati dai gioielli di questa prestigiosa azienda che è dedicata la mostra inaugurata lo scorso 16 novembre e visitabile fino al 18 febbraio 2018 al Complesso del Vittoriano. "I Grandi Maestri. 100 Anni di fotografia Leica" presenta al grande pubblico non soltanto gli iconici modelli ma soprattutto le foto che hanno documentato la storia dagli inizi del XX secolo fino ai giorni nostri. L'esposizione, curata da Arthemisia e da Contrasto, è sotto l'egida dell'Istituto per la storia del Risorgimento Italiano, è promossa dall'Assessorato alla Crescita culturale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali con il patrocinio della Regione Lazio e si apre con i primi modelli realizzati negli anni Venti: forse non tutti sanno che Leica - acronimo per LEItz CAmera - nacque nel 1800 come azienda dedita al settore ottico e che nel 1914 venne realizzato il primo modello di fotocamera con pellicola 35 mm, l'antenata dell'attuale compatta. Gli anni turbolenti del primo conflitto mondiale fecero sì che la macchina fotografica venisse immessa sul mercato solo nel 1925 attuando una vera e propria rivoluzione: le piccole dimensioni, infatti, consentivano agli appassionati di portare con sé l'apparecchio e di utilizzarlo in ogni situazione con la certezza di ottenere sempre scatti di altissima qualità. Ma come si giunse alla realizzazione della prima fotocamera compatta? L'ideatore fu Oskar Barnack, fotografo amatoriale esausto dal peso della macchina a lastre tanto da decidere di adattare la "macchina lillipuziana" - così soprannominata da lui - alla pellicola cinematografica. Barnack amava soprattutto immortalare volti e gruppi di persone senza però disdegnare i paesaggi, sperimentando sia il formato orizzontale che verticale. Gli scatti dinamici e la maneggevolezza delle macchine fotografiche firmate Leica hanno rivoluzionato il concetto stesso di fotografia: scattare una foto da un aereo, ad esempio, sarebbe stato impensabile prima dell'avvento di una macchina compatta. Ormai per un fotografo la Leica era quasi un prolungamento del proprio corpo, una sorta di bacchetta magica che consentiva appunto di fermare per sempre l'attimo. Un concetto ovvio per la nostra epoca ma per nulla scontato fino a pochi decenni fa, è bene ricordarlo. Pensiamo al mondo del giornalismo: è innegabile che una foto d'impatto ed un'inquadratura sapiente impreziosiscono un articolo già di per sé ben realizzato e proprio per questo la compatta Leica divenne la migliore amica di professionisti come Robert Capa, il già citato Henri Cartier - Bresson o Erich Salomon, fotografo durante la Guerra civile spagnola. L'eccellente qualità dell'immagine, i contorni ben definiti e la veridicità del soggetto immortalato conquistarono subito chiunque provasse una macchina firmata Leica. Anche nel corso della Seconda guerra mondiale le fotografie ebbero un ruolo saliente: in Germania, nel 1938, nacquero le PK, ovvero le Propaganda Kompanie - Truppenteilen, che raccoglievano immagini pubblicate poi su riviste di propaganda nazista. Scatti controversi, senza dubbio, ma documenti imprescindibili per comprendere quel particolare periodo storico. Alla fotografia umanista, invece, appartengono le immagini dedicate alla semplicità della vita quotidiana, che rifuggivano dagli esperimenti per dedicarsi invece alla realtà nella sua accezione più pura e che in Francia si espressero al meglio. I fotografi scendevano in strada, trascorrevano intere giornate tra la gente e se Ilya Ehrenburg sceglieva la critica sociale, Robert Doisneau preferiva concentrarsi sugli aspetti gioiosi dell'esistenza. Anche l'Italia ha un ruolo preponderante nella storia di Leica: a partire dagli anni Cinquanta, infatti, Herbert List sarà spesso presente sui set cinematografici di Vittorio De Sica realizzando accurati reportage su luoghi simbolo di Roma come la Stazione Termini senza dimenticare la città di Napoli durante la preparazione de "Il giudizio universale". Gli anni dal 1945 al 1970 videro il successo di periodici che ogni settimana necessitavano di pubblicare nuovi scatti e, proprio per questo, il mestiere del fotografo divenne ancora più dinamico. Anche la nascita dell'agenzia Magnum Photos diede vita a questa nuova era, ponendo l'accento sugli aspetti soggettivi del fotogiornalismo. Il passaggio dalla pellicola in bianco e nero a quella a colori portò con sé non poche polemiche, c'era infatti chi difendeva strenuamente l'impatto visivo dato dal bianco e nero e chi invece sottolineava le vibranti potenzialità dei colori, certo è che a distanza di anni entrambe le versioni, per motivi diversi e spesso personali, continuano a rivestire un fascino senza tempo. Leica è anche sinonimo di moda e la mostra romana raccoglie alcuni degli scatti più suggestivi oltre che dei volti più affascinanti come quello di una giovanissima Kate Moss o quello della conturbante Gisele Bundchen immortalata per Vogue da Paolo Roversi. L'esposizione presente al Complesso del Vittoriano raccoglie quindi una vastissima collezione di fotografie che portano la firma di nomi come Robert Capa, Gianni Berengo Gardin o degli italiani Paolo Pellegrin e Lorenzo Castore attraversando tutto il Novecento fino a raggiungere i giorni nostri: lo spettatore può così ammirare il carisma di un giovane "Che" Guevara, emozionarsi davanti al bacio mozzafiato del soldato ad un'infermiera durante il V - J Day a Times Square, perdersi nello sguardo di un pensieroso Pasolini, rattristarsi dinanzi alla disperazione della piccola Phan Thi Kim Phùc, completamente ustionata mentre fugge dal suo villaggio durante la guerra in Vietnam nel 1972, innamorarsi del fascino un po' sgualcito del bellissimo James Dean e, ancora, commuoversi dinanzi alla foto che ferma sulla pellicola tre generazioni di donne. Una tale esposizione non si caratterizza solo per la ricchezza delle immagini o per la bellezza e la perfezione di uno scatto ma va oltre, perché cattura la storia rendendola eterna.
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