Perugia. Seconda giornata di lavori per l'International Journalism Festival di Perugia che ha avuto inizio ieri, 5 aprile, e si concluderà domenica prossima. Tra i numerosissimi appuntamenti si è svolto questo pomeriggio, nel centro servizi "G. Alessi", il dibattito relativo ad un tema di grandissima attualità, ovvero il ruolo dei mass media nel trattare la violenza di genere. Nello specifico l'incontro si è focalizzato sulle differenze tra l'Italia e la Gran Bretagna ed ha visto la partecipazione di giornaliste e fotografe freelance. Dopo una breve presentazione ad opera di Sofia Lotto Persio, breaking news reporter presso International Business Times UK, a Londra, che ha spiegato come l'attivismo sia soltanto uno dei tanti modi per cambiare la situazione attuale, a prendere la parola è stata Claudia Torrisi, membro di Chayn Italia, piattaforma open source che offre strumenti e supporto contro la violenza di genere dando vita a campagne comunicative e corsi di formazione online: "Si parla poco e male di violenza sulle donne, soprattutto se ne parla in occasioni comandate o in casi di cronaca particolarmente cruenti. Le statistiche - ha aggiunto Torrisi - non forniscono un quadro completo e in Italia non esiste una raccolta univoca dei casi anche perché focalizzarsi solo sulle denunce non consente di cogliere la realtà del fenomeno. Accade anche che nel nostro Paese si discuta di violenza di genere in programmi inadatti, basti citare il caso di Barbara D'Urso che parla di uomini che per troppo amore arrivano a compiere gesti inammissibili. Chi osserva dal di fuori tali situazioni - ha proseguito Torrisi - ritiene che queste tocchino solo donne deboli e fragili mentre chi le vive in prima persona si sente colpevole. Spesso la stampa, in modo totalmente errato, si occupa della donna che pone fine alla relazione perché tale comportamento rompe la routine e si sofferma molto sui sentimenti del killer. Il raptus di follia è la motivazione che quasi sempre viene fornita dalla cronaca ma le cause reali quasi mai vengono indagate".
Cristiana Bedei, giornalista freelance che si occupa principalmente di diritti delle donne, questioni di genere, sessualità e salute mentale ed è stata selezionata da Pro Journo per una fellowship sul tema "Donne nel mondo dei media", ha aggiunto: "In Inghilterra i tabloid e i digital media parlano soprattutto di comportamenti errati e le donne non vengono realmente incluse nella storia di cui sono vittime. Il rischio, quando ci si trova dinanzi a storie simili, è quello di glorificare quasi la violenza come se fosse una notizia sensazionale o addirittura un caso isolato. Altro tema importante è quello che riguarda i transgender che in Inghilterra vivono in contesti emarginati e non c'è alcuno sforzo per indagare sulle difficoltà di queste persone".
La parola è poi passata a Stefania Prandi, giornalista professionista e fotogiornalista, che si occupa di questioni di genere, lavoro, diritti umani. Prandi ha lavorato in redazione e sul campo realizzando reportage in India, Etiopia, Albania, Grecia ed Italia: "A livello visivo spesso si vedono donne con occhi tumefatti che piangono impotenti oppure fotografate nell'atto di difendersi come se la vergogna fosse la loro e non di chi le ha aggredite. Le foto di repertorio fanno aumentare la distanza tra chi subisce violenza e chi le guarda e forti sono i rimandi all'immaginario sessualizzato di donne scollate come vittime perfette perché troppo attraenti e disinvolte. La fotografia traumatica - ha aggiunto Prandi - provoca la paralisi in chi la guarda e, come ha detto Ida Dominiani, "Se durante il governo Berlusconi c'erano veline ed escort ora esistono solo vittime di uomini senza faccia e senza parola". Dal 2015 l'Ordine dei Giornalisti ha un manuale che spiega il corretto utilizzo delle immagini nelle violenze di genere ma forse nelle redazioni giornalistiche questo messaggio non è arrivato dato che certe dinamiche perdurano. Uno dei miei reportage - ha concluso Stefania Prandi - si focalizza sulle donne abusate nel mondo dell'agricoltura: loro mi hanno chiesto di non palesare i volti e sono solita concordare con le vittime quali sono le fotografie che posso mostrare. La cronaca non dovrebbe dimenticare il rispetto della persona ed il compito del fotografo o del giornalista è quello di parlare in modo corretto anche se non va dimenticato il ruolo chiave della giurisprudenza".