
"Mi pare che stai facendo la caccia alla bufala (in dialetto: "vufara")" - questo è un detto che - dalle nostre parti - spesso viene "attribuito" ad una persona che si affanna inutilmente (quale fosse una "fatica di Sisifo") alla ricerca (vana o meno) di una cosa o di un'altra persona, specialmente quando la persona da ricercare si sposta continuamente (dalla fatica di Sisifo al supplizio di Tantalo). Questo detto mi ha fatto (ri)considerare la "temperie" storica in cui è nata tale espressione. La ricerca mi ha fatto approdare ad un evento "giocoso" (ma come rito di crescita e maturità, comunque cruento), ad una "giostra" che coinvolgeva la comunità di Mercato S. Severino - e non solo - ma anche alcuni paesi dell'Agro Nocerino-Sarnese che in momenti diversi, quasi sempre d'estate, praticavano la fatidica "caccia al bufalo": proprio come la corsa dei tori di Pamplona, in Spagna. Era uno spettacolo cruento, come una mattanza, come una corrida, per cuori forti, impavidi, animi abituati a "certe scene" violente, spesso tragiche anche per gli osservatori che vi partecipavano; scene di tal guisa venivano "collocate" in un'antica funzione, proposte in un rito comune in molte zone dell'area mediterranea: tale rito trova il suo "addentellato" nella tauromachia micenea, la ginnastica coi tori dipinta nel sito di Crosso. Ciò rappresentava il culto del progenitore dell'umanità indoeuropea ossia il toro "Alef" (donde la lettera dell'alfabeto greco "Alfa", che letta al contrario ricorda una testa di toro con le corna...), oppure il bue Api presso però gli Egiziani. Il bufalo, di razza "cafro", è il bovide più "vicino" all'uomo nella dura fatica dei campi spesso paludosi e altrettanto spesso coltivati a risaie, e - nella Valle dell'Irno e nell'Agro Nocerino-Sarnese - ve ne erano in quantità tali che furono "tolti di mezzo" (poiché appestavano l'aria) seguendo i dettami di una legge francese e a causa di una bonifica che convertì il territorio a valle in terreno produttivo di alta classe. La festa di luglio della "caccia al bufalo" (o "alla bufala"), "a' caccia a' vùfara", rimase e diede spettacolo fino agli anni '20 dello scorso secolo, con le stesse modalità e con la stessa ritualità. Qualche vecchietto, fino a un ventennio fa, ne ricordava tutte le fasi dall'inizio alla fine, comprese le canzoni di "partenza", le folli corse e la mattanza finale con la relativa vendita della carne del povero animale. Come a Pamplona per S. Firmino, l'antica consuetudine, la vecchia "festa" avveniva a S. Severino ma anche a Scafati nel mese di luglio, e nella città spagnola era una corsa affannata "solo" per scansare i tori "impazziti", mentre a Mercato S. Severino l'animale veniva ucciso. I festeggiamenti per S. Firmino in Spagna avvengono dal 7 al 14 luglio, ma il santo di Amiens, cittadina di cui era vescovo, fu ucciso - decapitato - il 25 settembre, che quindi è il suo dies natalis: la "nascita al cielo"; comunque le "sanferminas" (le attività festive per S. Firmino) avvengono per poco tempo nei giorni torridi e assolati di luglio, chissà perché? Non sono riuscita a trovare una risposta plausibile. La caccia al toro, come una corrida, è una "fiesta" cara ad Hemingway, il celebre scrittore, che l'amava anche perché si mostrava la spavalderia e il coraggio dei giovani; a S. Severino, invece, la caccia al bufalo/bufala avveniva il sabato prima della ricorrenza della Madonna del Carmine, dopo la raccolta del grano e del riso. Un tempo magico, e un segno della tradizione, dunque, anche perchè nel luogo ove avveniva la mattanza sorgeva una chiesa, poi distrutta, dedicata proprio alla Madonna del Carmine. In una cronaca di una rivista del 1883, un giornale dal nome: "Giambattista Basile", ho potuto ricostruire parte di questa "sagra" paesana, confrontandola con i frammenti descrittivi che mi ha porto una mia "fonte orale", uno studioso che aveva effettuato indagini sul campo qualche decennio fa su ignoti spettatori dell'evento... Nel n ° 8 del quindicinale "Basile" si parla, però, della caccia al bufalo di Scafati, complessa tuttavia come quella che avveniva a S. Severino. Ed eccoci alla dinamica dello "spettacolo" sanseverinese : il bufalo prescelto partiva dalla chiesa di S. Giacomo, oggi in piazza Donato Somma, nome che ha sostituito quello ancora più antico di piazza dei Martiri; in tale luogo, davanti alla vecchia sede municipale (palazzo Smith, oggi palazzo Capuano) si svolgeva, fino al 1870, il mercato degli animali. Ricordiamo che a S. Severino, snodo cruciale e zona strategicamente importante per i traffici, i commerci e le attività di laboriosa quotidianità che hanno dato lustro alla Città, ancora oggi al centro delle iniziative economiche in tutta la Valle dell'Irno e non solo, grande importanza possedevano fiere e mercati (c'è una differenza tra questi due sostantivi, che pur sembrano uguali), cosicché le due piazze principali, appunto piazza Garibaldi (ove si viveva l'evento della caccia al bufalo) e piazza XX Settembre, oggi cementificata, venivano chiamate: "piazza d'a' minestra", poiché si vendevano gli ortaggi (piazza Garibaldi) e "piazza d'e' vvacche" (piazza XX Settembre) per la presenza di bovini e manzi. Continuo: l'animale (che ricorda in un certo qual modo il ciuccio di fuoco sempre a S. Severino), addobbato a festa (per fargli la festa) veniva condotto a piazza del "Mercatello", oggi piazza D'Annunzio, rigorosamente alle 17 (cinco de la tarde), come affermava Federico Garcia Lorca in una sua poesia impregnata di tauromachia. Dopo i tre rituali squilli di tromba, il bufalo veniva lasciato "libero", e - pungolato da bastoni con spilli - veniva lanciato in una corsa forsennata per la strada consolare di Codola (ora corso Diaz, già "via del Mercato Vecchio")... Arrivato all'altezza del palazzo Landi (cosiddetto "palazzo del Principe" o "palazzo dell'Universitas") veniva "dirottato", sempre pungolato dai "bovari" sul cavallo e dai giovani che scansando le corna lo precedevano di corsa, per l'attuale via Agostino Guerrasio, già via della Cancelleria Vecchia e poi della Riforma; da qui il bufalo stremato giungeva a piazza Garibaldi, già "mercato d'a' minestra" e - ancor prima - "piazza grande" o "largo del Carmine", per la presenza di una chiesa abbattuta nel maggio 1821, dedicata alla Vergine del Carmine. In tale spiazzo iniziava il "matare" dell'animale, fino a sfiancarlo con il pungolo, i cani aizzati addosso e una specie di pupazzo, su cui il povero bufalo scaricava la sua rabbia, che veniva agitato davanti al furioso animale. Due "picadores" a cavallo, armati di bastoni appuntiti, ricacciavano il bovino al centro della piazza, recintata con tavole e carrette ribaltate, per proteggere gli spettatori che assistevano, mentre una specie di "matador" rinchiuso in una botte aizzava il bufalo. Così questi mostrava tutta la sua potenza... Quando la povera bestia era ormai stremata, giungeva il "boia" a finirla, e, avendola uccisa, il cadavere veniva trascinato nella taverna del mercato, che si chiamava: "taverna di Valardino" (Berardino) o "taverna del dottor Portanova" , in via II Torrente, già "via 1881", già via dei Saponari... La carne "sfasciata" (appena macellata) del bufalo veniva posta su grossi banchi e venduta al miglior offerente (in una riffa) mentre l'oscurità scendeva sulla piazza ove era stato allestito anche l'albero della cuccagna, per festeggiare la morte del "capro espiatorio" nonchè la Madonna del Carmine e i riti agrari dell'abbondanza... Ricordo ancora - ed è la fine - che anticamente si mangiava anche la carne di vacche e/o bufale cadute, stramazzate mentre venivano condotte al macello, al mercato: costava meno anche se esse vacche potevano essere stracche o malate come per la "mucca pazza".