Bisogna sforzarsi per pensare ad un Portogallo che possa prescindere dal suo fuoriclasse Cristiano Ronaldo. Certo, il rapporto di dipendenza non è quello che lega la Svezia a Zlatan Ibrahimović. La nazionale lusitana sbarca in terra francese con una rosa costruita con sapiente equilibrio ed armonia, laddove gli ultimi sbuffi dei vagoni più datati fanno da grancassa alla verve pronunciata della nuova generazione. Nella penuria endemica di attaccanti che contraddistingue la Selecção das Quinas da decenni (ve li ricordate Pauleta e Nuno Gomes, no?), il selezionatore Fernando Santos decide di far di necessità virtù: a casa tutti i centravanti, presentabili o meno, e a Cristiano il compito di scardinare linee e porta nemiche. Sarà proprio il Pallone d'Oro il riferimento avanzato portoghese, con la old school Nani-Quaresma a fare da scudiera. La difesa alterna antiche certezze ad un deciso ricambio generazionale. Se Pepe ed il neo cagliaritano Bruno Alves resistono all'usura del tempo e dei muscoli (e come rincalzo di lusso c'è pur sempre il buon Ricardo Carvalho), piuttosto deciso appare il restyling operato sulle corsie esterne. A destra, pensionati i vari Ferreira, Bosingwa e João Pereira, Cédric Soares sembra pronto a farsi preferire alle ore di volo del più navigato Vierinha; sull'altro fronte, invece, l'infortunio occorso a Coentrão spalanca le porte della titolarità al lanciatissimo Raphael Guerreiro, da un biennio uno dei migliori prospetti della Ligue 1 francese, capace di coniugare sapiente disciplina a tecnica e gamba più che discrete. Resta tuttavia il centrocampo il reparto sul quale si sono concentrate le più dense operazioni di ricambio. Ad un comparto imbolsito più dalle caratteristiche che dall'anagrafica, infatti, è stato sostituito un ensemble plasmato sui più riconoscibili timbri di fabbrica del calcio lusitano: tecnica, palleggio, eleganza e gioco corto. João Moutinho continua ad essere il punto di riferimento della manovra; intorno a lui si fanno largo João Mário, uno degli MVP dello Sporting campione nazionale, e soprattutto Renato Sanches, nuova stella del firmamento portoghese, classe '97 appena passato al Bayern Monaco a suon di milioni. Fisicità, eccellente conduzione della palla, uso disinvolto dei due piedi sono invece assicurati da André Gomes, tra i più ricercati (e costosi) centrocampisti del continente. William Carvalho si candida come stantuffo davanti alla difesa, Adrien Silva garantisce affidabilità ma tra gli indiziati a partire dall'inizio c'è Danilo Pereira, tra le poche note positive della disastrosa stagione del Porto, con ogni probabilità il vertice basso titolare. In un girone che nasconde insidie, il Portogallo resta il favorito per la prima piazza.
L'epica della prima qualificazione assoluta dell'Islanda ad una rassegna iridata sembra promanare direttamente dalla Laxdæla saga, senza gli eccidi di Kjartan e Bolli ma risolta nel felice destino di Guðrún ÓsvÃfursdóttir, personificazione ideale di una nazionale che ha impresso un marchio a fuoco sulla sua storia. Guai, tuttavia, a pensare alla classica Cenerentola pronta ad indossare i panni dello sparring partner. L'Islanda è innanzitutto una squadra con una chiarissima fisionomia ed idee ben riconoscibili, applicate con un'efficacia sorprendente nel girone eliminatorio. Il 4-4-2 stretto utilizzato dal ct svedese Lars Lagerback ricorda molto da vicino l'impostazione tattica di alcune squadre di Bundesliga, ed è esaltato dai ritmi piuttosto alti impressi alle gare e dalla capacità delle linee di disegnare uno schieramento sempre molto corto. In porta il titolare è Hannes Þór Halldórsson, 32enne con esperienze in Norvegia ed Olanda. La difesa si basa sull'elasticità e la fisicità garantite da Sævarsson, inamovibile titolare a destra, e Sigurðsson, il più abile e smaliziato, anche grazie agli anni cumulati nella Premier Liga russa. A sinistra dovrebbe invece giocare Skúlason, titolare nelle eliminatorie, mentre l'altro posto di centrale potrebbe andare all'esperto Ãrnason, con il cesenate Magnússon destinato alla panchina. Il centrocampo è il reparto migliore dell'Islanda, anche dal punto di vista delle capacità individuali. A rappresentarlo, infatti, sono interpreti che giocano o hanno un passato nei principali campionati europei. Emil Hallfreðsson, innanzitutto, una vita tra Reggina e Verona ed oggi ad Udine, atleta con il gusto per la stoccata estemporanea; il capitano Aron Einar Gunnarsson, mediano del Cardiff, e poi l'ex pescarese Birkir Bjarnason, angelo biondo da film d'avanguardia perno del Basilea. La fascia sinistra è di solito il regno di Jóhann Berg Guðmundsson, mentre il compito di cucire le linee è affidato a Gylfi Þór Sigurðsson, il giocatore più forte e rappresentativo degli insulari, star delle qualificazioni con 6 centri, che in nazionale gioca spesso sulla stessa linea del centravanti. Cetravanti che sarà Kolbeinn Sigþórsson, un atleta poco prolifico sotto porta ma assai mobile e portato al lavoro sporco per i compagni. Sarà una bella avventura per i Strákarnir okkar ("i nostri ragazzi", come li incitano i tifosi): e le piacevoli sorprese non sembrano poi così lontane, come lontana e ai margini del globo appare quest'isola da saga nordica. Sbaglia chi sottovaluta le capacità dell'Austria, o pretende di valutarne la parabola in Francia alla stregua delle ultime apparizioni nelle competizioni continentale e mondiale.
La Francia, nella Coppa del Mondo del '98, fu terra ostile per l'allora team di Herbert Prohaska, mentre l'Europeo organizzato nel 2008 con la Svizzera contrassegnò solo un'apparizione estemporanea dovuta al comodo pass regalato ai padroni di casa. L'Austria del 2016 è invece una squadra matura: non più il Wunderteam degli anni '30, ma quantomeno il Das Team nei quali i tifosi amano riconoscersi. Prima di tutto perché austriaco è uno dei migliori giocatori della competizione, David Alaba, todocampista che ha fatto le fortune del Bayern, figlio di una donna filippina e di un dj nigeriano, imperituro monito ad un paese dalla storia transnazionale e che oggi sembra voler dimenticare quelle radici. Nelle selezione guidata dallo svizzero Marcel Koller, Alaba sarà il vero faro deputato ad illuminare le glorie dei suoi, un ruolo sovente ricoperto al Bayern dove, tuttavia, il carico delle responsabilità viene ripartito con compagni alla sua stessa altezza. Qualche grattacapo creano i portieri, nessuno all'altezza del simulacro che fu, Michael Konsel, ma nemmeno di un Alex Manninger. Alla fine la scelta potrebbe ricadere su Heinz Lindner, pronto a scavalcare un Robert Almer assai incerto nelle recenti amichevoli. Nel girone eliminatorio è stata la solidità una delle prerogative degli austriaci: a garantirla una difesa granitica nei numeri e nei fatti, con i trentenni Klein e Fuchs a presidiare le fasce e freschezza nei blocchi centrali. Qui, accanto all'ambito Aleksandar Dragović, è lotta tra Hinteregger ed Ilsanker, un mediano prestato al reparto arretrato anche nel suo club, il Lipsia. In cabina, accanto ad Alaba, Baumgartlinger assicura schermo, fiato e palloni sradicati, pronti per essere recapitati al trittico dei trequartisti: Harnik - giocatore non finissimo ma che garantisce equilibrio alla doppia fase -, Junuzović e Marko Arnautović, sregolatezza più che genio, un anarchico pronto a scheggiare con l'accensione dell'inaspettata scintilla. Non molta scelta in attacco, laddove si accomoderà Marc janko, bomber nel girone qualificatorio. Occhio, comunque, a due nomi: Marcel Sabitzer, lungagnone mobile alla Arnautović assai ficcante, e soprattutto Alessandro Schöpf, incursore tutto talento lanciatosi allo Schalke nella seconda parte di stagione. Possono sfidare il Portogallo, se non hanno l'arroganza di crederlo: così facendo, avremmo una delle sorprese dell'Europeo.
In principio fu Ivica Kralj, estremo difensore di una delle ultime Jugoslavia con questa nomenclatura. La fenomenologia del portiere balcanico fin de siècle, look svogliato e calzoni puntualmente lunghi, ha poi trovato compiuta maturazione nella figura di Gábor Király, il giocatore più anziano della rassegna francese con i suoi 40 anni, chiamato a difendere i pali dei Magyarok nell'ultima grande avventura insieme. L'Ungheria è giunta alle fasi finali dopo essersi piazzata terza in un girone tutt'altro che esaltante, alle spalle di Irlanda del Nord e Romania, sconfiggendo negli spareggi la Norvegia sia ad Oslo che al ritorno a Budapest. L'eroe della doppia sfida con gli scandinavi è stato László Kleinheisler, 22enne che ha poi trovato un felice ingaggio in Germania al Werder Brema. La selezione allenata dal tedesco Bernd Storck vanta singoli e collettivo tutt'altro che esaltanti, principale ragione di una qualificazione che è stata vissuta in patria come un piccolo miracolo sportivo più che un'avvisaglia di una nuova Aranycsapat. Il verbo della Squadra d'Oro magiara, che ai primi anni '50 fece tremare il mondo, fu un gioco rivoluzionario portato ai suoi picchi grazie all'arte pallonara di interpreti come il "Colonnello" Ferenc Puskás ed il suo partner Sàndor Kocsis. L'Ungheria del 2016 è invece una selezione dal valore medio-basso, che fa della compattezza difensiva l'arma migliore da opporre agli avversari sul rettangolo verde. Il vecchio Király sa che gli spetteranno gli straordinari, e con lui la difesa, formata da Fiola, Lang, l'esperto Juhász e Kádár. Il 4-5-1 di Storck diventa 4-3-3 nelle poche occasioni in cui ci sarà da pungere. L'elemento chiave dell'elastico è la vecchia promessa mai pienamente esplosa Balázs Dzsudzsák, la cui briglia sciolta rappresenta il naturale sbocco di una manovra assai spesso asfittica. Nel triangolo mediano, invece, si sistemeranno Nagy, Pintér - un passato da terzino, ormai stabilmente impiegato a centrocampo - e il sopra menzionato Kleinheisler. L'attaccante titolare sarà con ogni probabilità Szalai, una lunga militanza nella Bundesliga, affiancato dallo sgusciante Lovrencsics. Sarà molto difficile non chiudere il girone come fanalino di coda.
IL PRONOSTICO. Portogallo primo dopo una lotta serrata con l'Austria, qualificata insieme all'Islanda.