Vicenza. "Linea d'ombra", impegnata nell'organizzazione di mostre d'arte, sbarca in pieno autunno inoltrato a Vicenza con una mostra interamente dedicata al celebre pittore post-impressionista, "Van Gogh. Tra il grano e il cielo". Nata da un'idea di Marco Goldin, grande appassionato e studioso di storia dell'arte, oltre che direttore della suddetta fondazione culturale con sede a Treviso, ha stilato un programma completo per la perfetta organizzazione dell'evento che avrà durata fino all'8 aprile 2018. Centoventinove opere in totale saranno visibili al pubblico all'interno dell'edificio simbolo della città di Vicenza, la Basilica Palladiana. Anche la scelta del sito, come quella delle opere proposte durante la mostra, è stata definita non a caso, ma in virtù del fatto che la sua architettura è stata progettata dal rinascimentale Andrea Palladio, consacrato ufficialmente come architetto della città di Vicenza. Quarantatré dipinti, accompagnati da ottantasei disegni segnano le tappe di questa mostra monografica del pittore olandese. Grazie al Kröller-Müller Museum olandese è stata possibile la realizzazione di un percorso espositivo tra i più dettagliati dello scrigno vangoghiano. La biografia di Vincent Van Gogh è passata in rassegna a partire dai suoi decisivi anni in Olanda. Partendo dall'esordio del maestro, avvenuto nel 1880 nelle miniere del Borinage in Belgio, la mostra si sviluppa attraverso le tappe fondanti del suo percorso artistico e si chiude con il periodo conclusivo, datato 1885, in Nuenen. Tale evento mostra un particolare interesse per i quadri raffiguranti le immense distese di grano, appartenenti alla fase finale della sua vita, giunta al termine con l'esasperato gesto del suicidio. L'esposizione è stata pensata in linea ai luoghi in cui ha vissuto l'artista. Lo stesso allestimento interno segue uno stile molto dinamico, facendo riaffiorare l'idea di un viaggio immaginario e itinerante attraverso il Borinage, l'Etten, l'Aia, il Drenthe, Nuenen, Parigi, Arles, Saint-Rémy e Auvers-sur-Oise, ove il Nostro ha lasciato un pezzo di cuore.
Era il 21 aprile 1889 quando Van Gogh scriveva a suo fratello Théo una lettera pregna delle sofferenze con le quali aveva ormai imparato a convivere. «Quello che mi consola un po' è che comincio a considerare la pazzia una malattia come un'altra e ad accettarla, mentre nelle crisi stesse mi sembrava che tutto ciò che immaginavo fosse vero. Comunque non voglio né parlarne né ci voglio pensare". Con queste poche righe il poeta olandese si congedava, comunicando al fratello la sua decisione di ricoverarsi nella casa di cura per malattie mentali di Saint-Paul-de-Mausole a Saint-Rémy, dove scelse di restare per un anno, dal maggio 1889 al maggio 1890. Questa fase tanto intima, quanto delicata e travagliata della sua vita è ricordata con un plastico di circa venti metri quadrati, fedele ricostruzione dell'istituto di igiene mentale, comprendente il vasto viale alberato, oltre alla chiesa gotica, anch'essa immersa nel verde. In sostanza è la sua anima a parlare, comunicando agli astanti i drammi e i tormenti del suo vivere quotidiano. In una lettera scritta il 24 settembre 1880 a Théo, da Cuesmes in Belgio, Van Gogh con tono dolente la sua condizione precaria, sempre sull'orlo del baratro. «[...] Vedi dunque che sto lavorando con accanimento, ma per ora non ho ottenuto dei risultati molto soddisfacenti. Spero tuttavia che queste spine daranno all'ora giusta il loro fiore e che questa lotta in apparenza sterile non sia altro che un lavoro di procreazione. Prima il dolore, poi la gioia". Da sottolineare un aspetto pregnante durante il suo percorso di formazione, culminante con la realizzazione di opere riconosciute a livello mondiale, è lo studio del disegno. Si serve di esso come fossero i fondamenti della grammatica, indispensabili per parlare prima ancora di trasportare la sua immagine interiore su tela. A tal proposito, nella stessa lettera sopra citata, scriveva: «Non potrò mai dirti quanto, nonostante il fatto che ogni giorno si presentino e si presenteranno nuove difficoltà, non potrò mai dirti quanto sia felice di aver ripreso il disegno. Già da molto tempo ciò mi preoccupava, ma consideravo sempre la cosa ormai impossibile e al di sopra delle mie capacità. Ma ora, pur sentendo la mia debolezza e la mia penosa soggezione e molte cose, ho ritrovato la mia calma di spirito, e l'energia mi ritorna ogni giorno di più. Si tratta per me di imparare a disegnare bene, a dominare sia la matita sia il carboncino sia il pennello, e una volta raggiunto questo farò delle buone cose, non importa dove". I disegni dunque rappresentano una tensione spasmodica verso la verità più di qualsiasi altra forma artistica fino a quel momento adoperata. Cinque anni di fondamentale processo formativo per plasmare la sua anima sempre più lacerata da agitazioni interiori.