Milano. La città ambrosiana rende omaggio a uno dei più celebri poeti dell'Ottocento italiano, Giacomo Leopardi, inaugurando la mostra "Giacomo Leopardi. Infinito Incanto". Luogo di arte e cultura, la Sala del Grechetto di Palazzo Sormani è stata scelta come palcoscenico della rassegna, unitamente ad un ciclo di incontri che coinvolgerà il pubblico fino all'8 febbraio 2020. L'esposizione con la sua profonda portata culturale si pone l'obiettivo di celebrare "L'infinito", una delle liriche più famose dei sui Canti, a duecento anni dalla sua composizione. La stesura dell'opera, che ha portato il poeta ai più alti livelli di riconoscimento e fama mondiale, fu ultimata nel 1819. La lirica fa parte di una serie di scritti pubblicati solo sette anni dopo con il titolo "Idilli". Curata da William Spaggiari, professore ordinario di Letteratura italiana dell'Università degli Studi di Milano, l'esposizione offre agli amanti dell'alta cultura l'occasione di riportare sotto i riflettori un prezioso corpus di documenti, molti dei quali mai esposti prima d'ora. Dunque, ritorna in patria il più grande capolavoro a cui Leopardi potesse mai dar vita, nella sua Milano. Ed è proprio in questa città che "L'infinito" ha trovato la sua primissima veste tipografica sulla rivista "Il Nuovo Ricoglitore", edita da Antonio Fortunato Stella, personalità dalla notevole cultura letteraria, nonché editore e tipografo che nell'800 è divenuto noto ai più per l'appoggio dato all'amico Leopardi. Gli "Idilli" prima, tra il 1925-1926, le "Operette morali" poi, nel 1927, raggiungono la loro più concreta forma proprio grazie al suo contributo. Il percorso espositivo parte esattamente dal periodo milanese per ricomporre attraverso manoscritti, raccolte, lettere autografe, dipinti che raccontano la convivenza non felicissima con gli intellettuali dei salotti di primo Ottocento. Un ricco apparato iconografico si aggiunge al già vasto corpus di testimonianze del poeta, grazie anche ad una serie di importanti prestiti, come le stampe "Achille Bertarelli" del Castello Sforzesco, le civiche raccolte storiche di Palazzo Morando, le intense epistole con l'editore Antonio Fortunato Stella dalla Biblioteca Nazionale Braidense. Una serie di incontri contribuirà ad approfondire i temi proposti dalla mostra grazie al contributo di studiosi ed esperti che delineeranno un quadro più ampio entro cui collocare l'esperienza biografica e poetica di Leopardi. Era il 1825 quando il poeta, appena ventenne, abbandonò quella che ormai viveva come una vera e propria prigione, la sua Recanati. Invitato dall'editore Antonio Fortunato Stella, si recò a Milano, poiché gli era stato commissionato l'incarico di dirigere opere di classici latini e italiani. Seppur breve, il suo soggiorno nella società milanese gli ha consentito di approfondire i suoi studi letterari, entrando nel vivo delle élite borghesi ottocentesche. Questo è stato l'inizio di quella che è diventata poi la metafora di vita del giovane Leopardi, il viaggio. Un percorso lungo e tormentato, imposto più che desiderato da un devastante bisogno di evasione dalle mura paterne. In una lettera inviata a Gianpietro Vieusseux - datata 2 febbraio 1824 - scriveva: «Io vivo qui segregato dal commercio, non solo dei letterati, ma degli uomini, in una città dove chi sa leggere è un uomo raro, in un verissimo sepolcro". Quasi come una boccata d'aria fresca, la vita in città avrebbe dovuto rivitalizzare l'animo tormentato del giovane, ma le aspettative non furono di certo soddisfatte. Adattarsi alla città non fu per niente facile e il suo epistolario riporta una nutrita serie di considerazioni critiche al riguardo. In un'altra lettera datata 16 aprile 1823, con molta lucidità apre il suo cuore al padre, il conte Monaldo Leopardi: «Io sono naturalmente inclinato alla vita solitaria. Contuttociò non posso negare ch'io non desideri una vita distratta, avendo veduto per esperienza che nella solitudine io rodo e divoro me stesso. Ma fuor di ciò, qualunque soggiorno m'è indifferentissimo, e quello della mia famiglia, che non mi può essere indifferente, mi sarà sempre carissimo". Il tormento che, unitamente ai suoi problemi di salute fisica, lo divorerà dall'interno è sempre troppo forte ed ogni volta compare in tutta la sua dirompenza. Una lotta tra la voglia di vivere lontano dalle leggi autoritarie di casa Leopardi e il desiderio, quasi rassegnato, di fare ritorno nel "natio borgo selvaggio": è questa la sua essenza, è questo l'inizio delle sue tribolazioni che dopo venti anni di segregazione, hanno avuto un impatto tale da rompere con il passato, puntando esclusivamente ad un nuovo orizzonte. Coinvolta nell'evento è anche l'Associazione Culturale Biblioteca Famiglia Meneghina Società del Giardino, che propone una nuova chiave di lettura de "L'Infinito", accostando all'originale una serie di traduzioni in milanese ad opera de "I poeti della Meneghina". Omaggio puro e disincantato, è così che Milano, "città leopardiana", saluta colui che ha portato il proprio genio tra le antiche strade nella capitale del Regno Lombardo-Veneto.
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