
Un vero e proprio "mercimonio delle sentenze giudiziarie", e addirittura l'esercizio, rigorosamente a nero, di attività di consulenza fiscale da parte di magistrati tributari per privati cittadini. Questo quanto risulta dalle 1200 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Napoli Alberto Capuano nell'ambito di un'inchiesta sulle attività illecite del clan camorristico Fabbrocino, che ha condotto al fermo di ben 60 persone, tra le quali spicca la presenza di 16 giudici tributari ed un docente universitario. L'indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Federio Cafiero de Raho e dai pm Francesco Curcio, Alessandro Milita e Ida Teresi, ha portato alla luce un intreccio scabroso di connivenze e corruzione tra magistratura, imprenditoria e malavita organizzata. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, in particolare, alcuni magistrati tributari prestavano attività di consulenza fiscale in nero a favore dei ricorrenti favorendo, grazie alla propria posizione di forza, l'aggiustamento di alcune pronunce giudiziarie in seno alla commissione tributaria. Nell'intreccio, definito "sistematico" dai pm, sono coinvolti esponenti della nota famiglia partenopea di imprenditori Ragosta, il cui capofamiglia, Felice, aveva come consulente finanziario Anna Maria D'Ambrosio, uno dei tre magistrati tributari finiti in manette. Per gli altri tredici, sono stati invece disposti gli arresti domiciliari. Tra i professionisti coinvolti dallo scandalo anche un docente universitario, Enrico Potito, titolare della cattedra di diritto tributario alla Federico II, che, nelle ipotesi degli inquirenti, era tra i redattori delle sentenze poi firmate dai magistrati finiti nell'occhio del ciclone. "Un intreccio" - racconta il pm Pennasilico - "di favori reciproci con danni inestimabili per l'erario", Per la precisione, poco meno di 150 milioni di euro. Grazie ad un lavoro certosino compiuto con l'aiuto di intercettazioni, dichiarazioni di pentiti e rogatorie all'estero tra Svizzera, Lussemburgo e Belgio, gli inquirenti hanno accertato che svariate decine di milioni sarebbero state riciclate con l'interposizione, del tutto fittizia, di società straniere in attività d'impresa. La magistratura ha disposto sequestri per un valore che si aggira attorno al miliardo di euro.