Vienna. Il secondo turno delle presidenziali austriache ha visto la vittoria di misura dell'ex leader dei Verdi Alexander Van der Bellen, che ha battuto di poche migliaia di voti il suo avversario Norbert Hofer, il candidato dell'estrema destra. Van der Bellen ha totalizzato il 50,3% dei consensi, contro il 49,7% racimolato da Hofer. Una vittoria sul filo di lana, una differenza di appena 31 mila voti che porta per la prima volta all'Hoberg un candidato dei Verdi, indicativa perché ha ribaltato parzialmente le previsioni della vigilia, che vedevano in vantaggio il candidato ultraconservatore. Decisive, come sottolinea Der Standard, le votazioni per corrispondenza, circa il 14% degli aventi diritto. Sulle presidenziali viennesi si erano attestate le attenzioni di numerosi addetti ai lavori ed osservatori internazionali, dopo l'affaire muro alla frontiera del Brennero in funzione anti-profughi ed i continui rinforzi inviati al confine, anche in queste ore. Positiva è stata l'affluenza alle urne, con il 71,8% degli aventi diritto che ha espresso la sua preferenza. Van der Bellen è ex leader dei Verdi ed ex professore di economia. Il cognome non tradisce le origini olandesi della famiglia, i cui antentati erano emigrati in Russia nel '700 e di lì in Estonia e poi Austria all'indomani della Rivoluzione Bolscevica. Spetterà a lui ora vigilare sul corretto corso dell'ordinamento costituzionale austriaco. Buona parte della stampa continentale ha salutato la sua vittoria con un sospiro di sollievo, specie per l'azione frenante al dilagare dell'estremismo di destra registrato in molte delle recenti consultazioni elettorali. Il confronto vis-à-vis tra Van der Bellen ed Hofer ha innanzitutto picconato il bipartitismo perfetto che, da circa 70 anni, aveva espresso il colore del Presidente: i due partiti della Große Koalition, vale a dire i democristiani della ÖVP e i socialisti della SPÖ, anch'essi inquinati dalla paranoia xenofoba, sono stati spazzati via già al primo turno da Grüne (Verdi) ed FPÖ, che propria sull'emergenza migranti hanno costruito le loro prospettive elettorali. Chi, come il neo presidente, facendo leva sulla tradizione cosmopolita ed integrazionista del paese; chi, come Hofer, riecheggiando gli strali del capopartito Strache, ultranazionalista e con chiare posizioni discriminatorie verso i profughi. L'Austria del dopo-presidenziali è dunque un paese spaccato esattamente a metà, dove in sostanza un cittadino su due ha accordato il proprio voto ad un movimento che persegue intenti xenofobi e che sembra destinato ancora a crescere nella lunga corsa che porterà alle elezioni politiche del 2018, vera cartina tornasole del prossimo corso di Vienna.
Il presidente tiranno

Donald Trump sta sfidando le peggiori categorie più consolidate della politica tradizionale,
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