Quando l'esecutivo greco approvò senza battere ciglio le misure massacranti decise dalla Bce ed avallate da altri sicari internazionali, ciascuno dei suoi funzionari non esitò a ricordare che quel trattamento "era richiesto dall'Europa". La stessa scena si ripetè poco dopo in altri paesi dell'Europa mediterranea, quasi per magia soggiogati al potente ed irresistibile fascino onirico dei plutocrati eurofinanziari. Anche in Italia, subito dopo la caduta dell'ennesimo governo Berlusconi, e mentre ancora gli "avversari" si attardavano a celebrare l'evento con ostriche e champagne, un esecutivo "tecnico" ma di chiarissima matrice conservatrice si affrettava a ratificare quei provvedimenti, costituzionalizzando il pareggio di bilancio per adeguarsi al monolitico refrain del vassallaggio comunitario.
E insomma, l'obbedienza agli editti provenienti dalle stanze dei bottoni comunitarie sembrerebbe quasi un dogma per gli illuminati governi nazionali, uno sorta di principio di autorità assiomatico e dal quale è impensabile fuggire, sebbene poi, quelle decisioni, provengano da entità astratte ed autoreferenziali (Bce, Fmi) che nessun cittadino ha concorso ad eleggere. Fatto sta che, pochi giorni orsono, la Corte Europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia per il "trattamento inumano e degradante" di 7 carcerati rinchiusi nel carcere di Busto Arsizio ed in quello di Piacenza, imponendole il pagamento, a titolo di danni morali, di 100mila euro. Con un ragionamento di più ampio respiro, tuttavia, la Corte di Strasburgo ha statuito che, in Italia, quello carcerario è un problema strutturale, e dunque non soltanto circoscrivibile ai due carceri sopra citati, come testimoniato dall'elevato numero di ricorsi presentati dai detenuti. Ora, sembra che ad una simile pronuncia, ed al relativo, allarmante monito, i burocrati del Belpaese non abbiano battuto ciglio, mostrando una riluttanza quantomeno insolita rispetto alle prostrazioni tradizionali ai comandi che giungono dall'Europa, specie se sono quelli di Francoforte.
Si obietterà: ma la Corte di Strasburgo non fa parte dell'Unione Europea. Osservazione certamente giusta, ma insufficiente. Perchè la Corte nasce con la Convenzione Europea per i diritti dell'uomo e la salvaguardia delle libertà fondamentali, e ne è diretta espressione. Perchè conserva la sua competenza in merito alle eventuali violazioni delle sue disposizioni, aprendosi a ricorsi di carattere statuale ed individuale. E perchè il suo respiro è e resta di carattere europeo, geopoliticamente inteso. In linea di principio, dunque, una simile violazione potrebbe orientare politicamente anche le scelte delle istituzioni comunitarie, aprendo il paese reo ad eventuali sanzioni. Questo se solo le istituzioni comunitarie si conformassero a canoni di democrazia in senso lato, grandezza con la quale non hanno nulla a che vedere.
La pronuncia di Strasburgo, tuttavia, non ha lasciato indifferenti il Ministro della Giustizia, Paola Severino, ed il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. La prima, si è detta "avvilita, ma non stupita della cosa", giusto qualche settimana dopo aver elogiato lo spirito del Codice Rocco ed essersi fatta promotrice esecutiva di uno dei suoi residuati più tetri ed oppressivi, quello relativo alla condanna per "devastazione e saccheggio" che si sta abbattendo come la scure di un tagliaboschi canadese sui manifestanti del No Tav e, in diversi casi, su chi a scontri di piazza è assolutamente estraneo. Napolitano, da par suo, ha sottolineato il "grave richiamo" e la "mortificante conferma" che la pronuncia rappresenta per l'Italia. In soldoni, un danno d'immagine. Punto. Certo, fa specie sentire simili parole da uno come lui: ancora ricordiamo con quanta premura si sia adoperato per nominare senatore a vita un professore bocconiano, giusto una settimana prima che questi ricevesse dal Quirinale l'incarico di formare il nuovo governo tecnico. E pensare che l'aveva scelto proprio per la sua inclinabile fedeltà allo spirito paneuropeo, quello che ogni giorno viene innaffiato a Francoforte, con secchiate di sangue umano.
E insomma, l'obbedienza agli editti provenienti dalle stanze dei bottoni comunitarie sembrerebbe quasi un dogma per gli illuminati governi nazionali, uno sorta di principio di autorità assiomatico e dal quale è impensabile fuggire, sebbene poi, quelle decisioni, provengano da entità astratte ed autoreferenziali (Bce, Fmi) che nessun cittadino ha concorso ad eleggere. Fatto sta che, pochi giorni orsono, la Corte Europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia per il "trattamento inumano e degradante" di 7 carcerati rinchiusi nel carcere di Busto Arsizio ed in quello di Piacenza, imponendole il pagamento, a titolo di danni morali, di 100mila euro. Con un ragionamento di più ampio respiro, tuttavia, la Corte di Strasburgo ha statuito che, in Italia, quello carcerario è un problema strutturale, e dunque non soltanto circoscrivibile ai due carceri sopra citati, come testimoniato dall'elevato numero di ricorsi presentati dai detenuti. Ora, sembra che ad una simile pronuncia, ed al relativo, allarmante monito, i burocrati del Belpaese non abbiano battuto ciglio, mostrando una riluttanza quantomeno insolita rispetto alle prostrazioni tradizionali ai comandi che giungono dall'Europa, specie se sono quelli di Francoforte.
Si obietterà: ma la Corte di Strasburgo non fa parte dell'Unione Europea. Osservazione certamente giusta, ma insufficiente. Perchè la Corte nasce con la Convenzione Europea per i diritti dell'uomo e la salvaguardia delle libertà fondamentali, e ne è diretta espressione. Perchè conserva la sua competenza in merito alle eventuali violazioni delle sue disposizioni, aprendosi a ricorsi di carattere statuale ed individuale. E perchè il suo respiro è e resta di carattere europeo, geopoliticamente inteso. In linea di principio, dunque, una simile violazione potrebbe orientare politicamente anche le scelte delle istituzioni comunitarie, aprendo il paese reo ad eventuali sanzioni. Questo se solo le istituzioni comunitarie si conformassero a canoni di democrazia in senso lato, grandezza con la quale non hanno nulla a che vedere.
La pronuncia di Strasburgo, tuttavia, non ha lasciato indifferenti il Ministro della Giustizia, Paola Severino, ed il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. La prima, si è detta "avvilita, ma non stupita della cosa", giusto qualche settimana dopo aver elogiato lo spirito del Codice Rocco ed essersi fatta promotrice esecutiva di uno dei suoi residuati più tetri ed oppressivi, quello relativo alla condanna per "devastazione e saccheggio" che si sta abbattendo come la scure di un tagliaboschi canadese sui manifestanti del No Tav e, in diversi casi, su chi a scontri di piazza è assolutamente estraneo. Napolitano, da par suo, ha sottolineato il "grave richiamo" e la "mortificante conferma" che la pronuncia rappresenta per l'Italia. In soldoni, un danno d'immagine. Punto. Certo, fa specie sentire simili parole da uno come lui: ancora ricordiamo con quanta premura si sia adoperato per nominare senatore a vita un professore bocconiano, giusto una settimana prima che questi ricevesse dal Quirinale l'incarico di formare il nuovo governo tecnico. E pensare che l'aveva scelto proprio per la sua inclinabile fedeltà allo spirito paneuropeo, quello che ogni giorno viene innaffiato a Francoforte, con secchiate di sangue umano.