
Un appuntamento fondamentale, immancabile. Ecco avvicinarsi la fatidica ora che riguarderà il nostro territorio e tutti i cittadini italiani: il referendum abrogativo, in programma il 12 e 13 Giugno, avente ad oggetto i quesiti su legittimo impedimento, nucleare ed acqua pubblica. Mercoledì 1 Giugno la Corte di Cassazione ha dissipato anche gli ultimi dubbi relativi al quesito sul nucleare che rischiava di essere sottratto al voto. IRNO.IT non si tira indietro e, schierandosi a favore del SI per fermare queste proposte, lancia la sua campagna di sensibilizzazione nella quale si analizzeranno, uno alla volta, i profili giuridici, economici e politici dei quattro quesiti (due sull'acqua) sui quali saranno chiamati a pronunciarsi gli italiani. Cominciamo quindi con la proposta referendaria relativa al LEGITTIMO IMPEDIMENTO. Tale quesito (scheda verde chiaro, quesito numero 4) è incentrato sulla richiesta di abrogazione delle norme in materia di "legittimo impedimento", che consentono al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai Ministri, convocati come imputati in udienza penale, di giustificare la loro assenza in giudizio adducendo lo svolgimento delle funzioni previste da leggi o regolamenti e di ogni attività connessa alle funzioni di governo (con obbligo, per il giudice di rinvio non superiore a 6 mesi, termine in cui il decorso della prescrizione viene "congelato"). L'antefatto dell'intervento legislativo è costituito dai procedimenti giudiziari in cui è coinvolto Silvio Berlusconi, tre dei quali pendenti a Milano (Mediatrade, Mediaset, caso Mills e in più l'ultimo relativo al "caso Ruby"). Si tratta, a ben vedere, di una previsione normativa condannata a più riprese sia dai giuristi accademici, per il suo carattere di dubbia costituzionalità e per gli effetti deflagranti che apporta alla struttura del processo penale (tanto da indurre alcuni autorevoli costituzionalisti a parlare di "crepuscolo dello Stato di Diritto"); sia dalla stessa Corte Costituzionale, che ha visto nella presunzione legale del legittimo impedimento un argomento "strategicamente lungimirante, ma argomentativamente debolissimo". I difensori d'ufficio della norma in questione oppongono un semplice argomento: non si tratta di una prerogativa costituzionale ma di un rafforzamento del diritto di difesa dell'imputato. Argomento questo insufficiente e già bocciato dalla Consulta nella sentenza 262/2009, in quanto la semplice titolarità della carica istituzionale è titolo "intrinsecamente irragionevole e sproporzionato" rispetto alle finalità di tutela del diritto di difesa. E' dunque un discrimine del tutto ingiustificato, specie laddove l'impedimento, di fatto, non ci sia. L'unico spiraglio lasciato dalla Corte riguarda in parte l'articolo 1 per cui rientra nella discrezionalità del giudice valutare l'indifferibilità della concomitanza dell'impegno con l'udienza, nell'ottica di un bilanciamento tra esercizio della giurisdizione, diritto di difesa e funzioni di governo. Ma la vera condanna all'intera architettura del provvedimento sembra venire dalla "scure" sulla nostra Carta Costituzionale, e per la precisione sugli articoli 68, 90 e 96, che prevedono la possibilità di instaurare processi penali a carico delle stesse alte cariche dello Stato, rendendo in tal modo palese, in sede penale, l'implicito presupposto della perfetta armonia tra ufficio pubblico e status di imputato. Trattandosi di un referendum "abrogativo", bisogna quindi votare SI per dire no a questa proposta che non garantisce e non garantirà uguaglianza di diritti.
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