Roma. Risale a ieri la proposta della Banca d'Italia di ripristinare l'Ici sulla prima casa nell'ambito delle possibili misure da introdurre per garantire la tenuta dei conti pubblici italiani e liberare risorse per lo sviluppo. Attualmente, infatti, la casa di abitazione è esente sia dall'imposta nazionale sul reddito, l'Irpef, sia dall'imposta comunale sugli immobili, l'Ici, mentre il fisco riconosce ai proprietari la possibilità di detrarre dalla dichiarazione dei redditi una quota degli interessi pagati per il mutuo. Questa situazione, introdotta nel 2008, costituisce secondo Via Nazionale una vera e propria "anomalia dell'ordinamento tributario che determina una sperequazione ai danni delle famiglie che vivono in abitazioni locate", ancor più se inserita nel contesto del federalismo fiscale verso cui il Paese si sta faticosamente avviando. Attraverso l'Ici sulle seconde case, sugli edifici commerciali o artigianali e sui capannoni industriali, i comuni percepiscono circa dieci miliardi all'anno. L'idea di reintrodurre l'imposta sulla prima casa porterebbe tre miliardi di euro in più nelle casse dei comuni con il vantaggio di liberare risorse per i servizi (almeno così dovrebbe essere) senza penalizzare i lavoratori e le imprese in un contesto di forte rallentamento della crescita economica. Ma è chiaro che il maggior ostacolo a questa proposta è più di carattere politico che economico, visto l'enfasi che tre anni fa fu posta sulla scelta di cancellare il prelievo.
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