
L'assenza di qualsiasi prospettiva d'uscita da una crisi che attanaglia sempre più il Paese, aggravata anche dall'incertezza di veder nascere un governo in virtù dei risultati usciti dalle urne, contribuisce a rendere ancor più allarmanti numeri che, già di loro, non sono affatto sorridenti. Perché dopo i Paesi più a rischio dell'Ue, come Grecia, Portogallo, Spagna e la piccola isola di Cipro, occorre sottolineare, dati ufficiali alla mano, il riavvio dopo anni dei flussi migratori da parte dei connazionali verso l'estero alla ricerca di un posto di lavoro. Perché, se è vero che esistono almeno tre milioni di disoccupati, è altrettanto pacifico che molti sono costretti a fare le valigie ed un biglietto di sola andata oltre confine, soluzione ormai accettata come l'ultima spiaggia. I primi dati del XVIII rapporto Ismu (Fondazione che si occupa di Iniziative e Studi sulla Multietnicità) parlano chiaro: solo l'anno appena trascorso sono emigrati all'estero ben 50mila italiani che vanno a rinforzare le fila dei 4 milioni e 200mila gli italiani che già risiedono fuori dai confini nazionali con una crescita, quindi, del 9% rispetto all'anno precedente. La differenza principale con i flussi migratori dei decenni passati sta nelle categorie di concittadini che scelgono di emigrare: se prima erano padri di famiglia alla ricerca di un lavoro da manovale o da operaio, oggi la tendenza riguarda soprattutto i giovani e qualificati, la gran parte laureati. La maggioranza, sceglie di restare in Europa in particolare cerca fortuna in Francia, Germania, ma anche Inghilterra e Svizzera. "Di fronte a dati come questi", rileva Giovanni D'Agata, fondatore dello "Sportello dei Diritti", "non si può più restare inermi. E' ora di dire basta all'assenza di politiche del lavoro in questo Paese ed al silenzio che avvolge il tragico tema della disoccupazione".