
Roma. Sembra non avere fine il ciclone di polemiche che negli ultimi mesi ha investito Roma e che continua ad alimentare indignazione a livello nazionale ed internazionale. Stavolta, a salire alla ribalta e provocare clamore e stupore da parte di media e istituzioni, è stato il funerale show del boss Vittorio Casamonica, capofamiglia dell'omonimo e potentissimo clan locale coinvolto in attività illegali quali l'usura e il traffico di stupefacenti che dalla capitale si propagano fin nelle zone dei Castelli Romani e del litorale laziale. Una cerimonia pacchiana e al limite dell'esagerazione che il 20 di Agosto è andata in scena nella Basilica di San Giovanni Bosco, con un elicottero a solcare il cielo e dal quale sono stati lanciati petali rossi, una sfarzosa carrozza trainata da sei cavalli muniti di pennacchio nero, la musica de "Il Padrino" suonata da una banda musicale e una gigantografia con il volto del defunto vestito a mo' di papa e investito del titolo terreno di "Re di Roma" con, sullo sfondo, l'epitaffio celebrativo "Hai conquistato Roma, ora conquisterai il paradiso". Insomma, uno spettacolo degno delle migliori sceneggiature hollywoodiane che - si badi bene - rappresenta allo stesso tempo folclore e ostentazione di forza: un messaggio diretto alla città. Tutti scandalizzati, eppure in Sicilia si è più volte ripetuto lo stesso rito, in diverse occasioni mai venute a galla.
La parabola ascendente dei Casamonica ha inizio negli anni Settanta, quando il capofamiglia Vittorio, trasferitosi dall'Abruzzo, intrecciò i suoi rapporti con la Banda della Magliana, all'epoca il più influente gruppo criminale di Roma. I Casamonica sono tanto astuti quanto abili a radicarsi silenziosamente sul territorio senza essere considerati "mafiosi", almeno a livello giudiziario, arrivando ad accumulare un patrimonio da 90 milioni di euro. Solo negli ultimi anni diverse inchieste delle forze dell'ordine hanno coinvolto il clan, che è stato colpito con arresti, demolizioni di immobili abusivi e sequestri di beni, quali automobili e ville, portando all'arresto centinaia di persone legate al clan. Dopo lo show romano, il resto è solo un susseguirsi di chiacchiere, polemiche sterili, luoghi comuni ed inutile demagogia. L'Osservatore Romano ha marchiato come "scandalo" le esequie del boss, contestando le accuse di connivenza o acquiescenza della Chiesa. Fin dall'inizio, però, tutto era chiaro. Secondo la relazione del prefetto Franco Gabrielli inviata al ministro dell'Interno Angelino Alfano, "al Tuscolano, il 19 Agosto, tutte le forze di polizia sapevano del funerale di Vittorio Casamonica, ma nessuno avrebbe capito il senso di quel che stava per accadere". Insomma, si sarebbe trattato (per l'ennesima volta) di "mancanza di comunicazione", il solito commento riparatorio all'italiana, tra ipocrisia e mancanza di senso di reponsabilità delle parti in gioco, che assolve tutti e giustifica l'ingiustificabile. D'Altronde, a sentire Gabrielli dire "non ho mai detto che avrei fatto rotolare delle teste: se necessario le teste le farà rotolare il ministro, a partire dalla mia", tutto sembra seguire il tradizionale percorso di espiazione all'italiana.
Quali soluzioni adottare per scongiurare la prossima "mancanza di comunicazione"? Servirebbe sicuramente meno burocrazia e più flessibilità, ma al momento gli unici modelli proposti dalle stesse autorità sotto accusa sono quelli che riguardano una diversa organizzazione di "alimentazione dell'informativa" e che prevedono a loro volta la creazione di un "gruppo di raccordo permanente con i capi di gabinetto di prefettura, questura e ufficiali di analogo livello dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpo forestale dello Stato e polizie locali". Per quanto riguarda gli ambienti ecclesastici, non meno colpevoli dei primi, l'unica riflessione (e confessione) seria è arrivata dal presidente di Libera don Luigi Ciotti, per il quale l'episodio romano deve essere l'occasione per dare il via a una riflessione profonda all'interno della stessa comunità della Chiesa, "perché la religione non diventi veramente solo di facciata". Un nuovo modo, forse, di vedere le cose.