Il contestatissimo ddl sulla riforma del mercato del lavoro è ormai pronto: a darne l'annuncio il Ministro Fornero, che tuttavia sottolinea come ci siano ancora numerosi spunti sui quali bisogna riflettere. Un provvedimento sul quale abbiamo già avuto modo di soffermarci, e nei cui confronti alcuni sindacati, a cominciare da Fiom, hanno già annunciato battaglia. Sul testo la solita, immancabile Commissione Europea ha già avuto modo di intervenire, invitando le forze politiche a non inquinare la natura della riforma. Un'ingerenza di chiara matrice politica, che tuttavia si manifesta anche, e non a caso vogliamo sottolineare, in altri paesi dell'Eurozona.
In Spagna il governo conservatore di Mariano Rajoy, al timone da poco più di 100 giorni, ha già avuto modo di mettere mano a tre riforme di stampo economico: mercato del lavoro, finanziaria e stabilità di bilancio. Tutti e tre gli interventi, inutile sottolinearlo, sono all'insegna dei rigidissimi parametri imposti da Bruxelles, che hanno stretto la Spagna in una morsa che, per il momento, sembra potenzialmente letale. Nel paese iberico la disoccupazione ha raggiunto livelli record, con 4,7 milioni di persone che non hanno un impiego. Particolarmente critici i numeri della disoccupazione giovanile, che è passata dal 20% del 2005 al 50% attuale, il doppio rispetto alla media europea (poco più del 22%). E la riforma del lavoro varata dal governo non sembra essere la ricetta adatta per correggere il tiro: ammettendo un'impotenza già constatata in passato, essa tende ad abbassare i salari, soprattutto quelli giovanili, per economizzare le loro prestazioni d'opera. Lo scorso 29 Marzo le forze sindacali (Ugt e CC.OO.) si sono mobilitate nelle principali città, proclamando l'ottavo sciopero generale dopo la transizione democratica. Ma l'esecutivo, in prostrante ossequio alle direttive europee, sta varando una legge di bilancio che dovrebbe tagliare circa 27 miliardi di euro. I settori più colpiti? Naturalmente gli investimenti in infrastrutture, nei programmi scientifici e di ricerca (-34%) ed i sussidi di disoccupazione (-6%).
In Portogallo invece, la bolla della crisi è esplosa già da tempo, ma ha finito per essere offuscata dall'attenzione mediatica riservata alla debacle della Grecia. L'esecutivo portoghese ha adottato un piano di austerity nel settore giuslavoristico che taglia, al solito, orario di lavoro e salario fisso (compreso quello minimo) ed incrementa la tassazione. Il tutto per evitare di finire come la Grecia, e in ogni caso per non discostarsi dalle pretese spasmodiche del "vicino di Bruxelles", che già ha fatto cadere il paese lusitano nella tentazione, macabra ed usuraia, del piano di salvataggio. E tuttavia, quella che si sta vivendo in Portogallo è stata una fervida stagione di mobilitazioni e proteste, soprattutto giovanili e studentesche, contro l'austerity imposta dalla coalizione di governo (dietro ordine degli organismi comunitari), la prima dalla Rivoluzione dei Garofani; e la cui spinta sembrava essersi esaurita in un languore rassegnatorio assai poco rassicurante, come dimostra il picco raggiunto dall'emigrazione (150.000 persone nel 2011, non accadeva dai tempi di Salazar).
Se la penisola iberica arranca faticosamente per venire incontro alle sue scadenze perentorie, non meglio se la passa l'Irlanda. La bolla immobiliare esplosa a causa della crisi nel 2008 ha determinato l'abbandono delle case di proprietà della banca governativa, Nama. Case che ora vengono occupate, per protesta, da attivisti in polemica con la politica finanziaria del paese e logorati dalla recessione (e collegati al movimento "Occupy Ireland"). E nel frattempo il paese, primo in Europa, promuove sotto la spinta popolare un referendum sul Fiscal Compact, il Patto di Stabilità fiscale dell'UE. Il tutto avverrà sotto lo scacco ricattatorio del circuito banchieristico legato alla BCE, dal quale già fanno sapere: che vinca il si, altrimenti il paese può rinunciare a qualsiasi tipo di aiuto. Che il termine cooperazione vada interpretato in senso lato?
Ciò che sta accadendo in Grecia è fin troppo noto. Nel paese ellenico, che poteva essere salvato subito con meno di 30 miliardi, l'economia va a picco e il debito deve essere onorato a colpi di macelleria sociale. Il Pil è crollato del 12% ed il debito complessivo è schizzato al 165%. Le elezioni ormai prossime vedono in rapida ascesa i partiti di sinistra, con il Pame in prima fila. Anche in paesi apparentemente in crescita, come la Polonia, la politica economica dell'esecutivo non sembra seguire strade diverse. Il governo polacco ha infatti varato una riforma delle pensioni che aumenta di due anni (da 65 a 67) l'età per ricevere il trattamento pensionistico completo. Nulla osta per andare in pensione in anticipo rispetto al nuovo termine: ma chi lo fa deve accontentarsi di un trattamento previdenziale sensibilmente ridotto. Per le donne che smettono di lavorare a 62 anni è previsto un taglio del 50% alla pensione di lavoro.
Nel frattempo la Serbia entra a pieno titolo tra i paesi candidati all'ingresso nell'UE. "Un momento epocale. L'adesione sarà un obiettivo soltanto formale, giacchè il vero scopo è una vita migliore per tutti i cittadini": parole e musica del premier serbo Boris Tadic.
Può l'Europa garantire un futuro migliore ai cittadini serbi? Permetteteci di dubitarne. Per informazioni, rivolgersi all'area mediterranea del continente.
(la foto di copertina è di Raymond Burki, da "24 Heures" del 30 Marzo)
In Spagna il governo conservatore di Mariano Rajoy, al timone da poco più di 100 giorni, ha già avuto modo di mettere mano a tre riforme di stampo economico: mercato del lavoro, finanziaria e stabilità di bilancio. Tutti e tre gli interventi, inutile sottolinearlo, sono all'insegna dei rigidissimi parametri imposti da Bruxelles, che hanno stretto la Spagna in una morsa che, per il momento, sembra potenzialmente letale. Nel paese iberico la disoccupazione ha raggiunto livelli record, con 4,7 milioni di persone che non hanno un impiego. Particolarmente critici i numeri della disoccupazione giovanile, che è passata dal 20% del 2005 al 50% attuale, il doppio rispetto alla media europea (poco più del 22%). E la riforma del lavoro varata dal governo non sembra essere la ricetta adatta per correggere il tiro: ammettendo un'impotenza già constatata in passato, essa tende ad abbassare i salari, soprattutto quelli giovanili, per economizzare le loro prestazioni d'opera. Lo scorso 29 Marzo le forze sindacali (Ugt e CC.OO.) si sono mobilitate nelle principali città, proclamando l'ottavo sciopero generale dopo la transizione democratica. Ma l'esecutivo, in prostrante ossequio alle direttive europee, sta varando una legge di bilancio che dovrebbe tagliare circa 27 miliardi di euro. I settori più colpiti? Naturalmente gli investimenti in infrastrutture, nei programmi scientifici e di ricerca (-34%) ed i sussidi di disoccupazione (-6%).
In Portogallo invece, la bolla della crisi è esplosa già da tempo, ma ha finito per essere offuscata dall'attenzione mediatica riservata alla debacle della Grecia. L'esecutivo portoghese ha adottato un piano di austerity nel settore giuslavoristico che taglia, al solito, orario di lavoro e salario fisso (compreso quello minimo) ed incrementa la tassazione. Il tutto per evitare di finire come la Grecia, e in ogni caso per non discostarsi dalle pretese spasmodiche del "vicino di Bruxelles", che già ha fatto cadere il paese lusitano nella tentazione, macabra ed usuraia, del piano di salvataggio. E tuttavia, quella che si sta vivendo in Portogallo è stata una fervida stagione di mobilitazioni e proteste, soprattutto giovanili e studentesche, contro l'austerity imposta dalla coalizione di governo (dietro ordine degli organismi comunitari), la prima dalla Rivoluzione dei Garofani; e la cui spinta sembrava essersi esaurita in un languore rassegnatorio assai poco rassicurante, come dimostra il picco raggiunto dall'emigrazione (150.000 persone nel 2011, non accadeva dai tempi di Salazar).
Se la penisola iberica arranca faticosamente per venire incontro alle sue scadenze perentorie, non meglio se la passa l'Irlanda. La bolla immobiliare esplosa a causa della crisi nel 2008 ha determinato l'abbandono delle case di proprietà della banca governativa, Nama. Case che ora vengono occupate, per protesta, da attivisti in polemica con la politica finanziaria del paese e logorati dalla recessione (e collegati al movimento "Occupy Ireland"). E nel frattempo il paese, primo in Europa, promuove sotto la spinta popolare un referendum sul Fiscal Compact, il Patto di Stabilità fiscale dell'UE. Il tutto avverrà sotto lo scacco ricattatorio del circuito banchieristico legato alla BCE, dal quale già fanno sapere: che vinca il si, altrimenti il paese può rinunciare a qualsiasi tipo di aiuto. Che il termine cooperazione vada interpretato in senso lato?
Ciò che sta accadendo in Grecia è fin troppo noto. Nel paese ellenico, che poteva essere salvato subito con meno di 30 miliardi, l'economia va a picco e il debito deve essere onorato a colpi di macelleria sociale. Il Pil è crollato del 12% ed il debito complessivo è schizzato al 165%. Le elezioni ormai prossime vedono in rapida ascesa i partiti di sinistra, con il Pame in prima fila. Anche in paesi apparentemente in crescita, come la Polonia, la politica economica dell'esecutivo non sembra seguire strade diverse. Il governo polacco ha infatti varato una riforma delle pensioni che aumenta di due anni (da 65 a 67) l'età per ricevere il trattamento pensionistico completo. Nulla osta per andare in pensione in anticipo rispetto al nuovo termine: ma chi lo fa deve accontentarsi di un trattamento previdenziale sensibilmente ridotto. Per le donne che smettono di lavorare a 62 anni è previsto un taglio del 50% alla pensione di lavoro.
Nel frattempo la Serbia entra a pieno titolo tra i paesi candidati all'ingresso nell'UE. "Un momento epocale. L'adesione sarà un obiettivo soltanto formale, giacchè il vero scopo è una vita migliore per tutti i cittadini": parole e musica del premier serbo Boris Tadic.
Può l'Europa garantire un futuro migliore ai cittadini serbi? Permetteteci di dubitarne. Per informazioni, rivolgersi all'area mediterranea del continente.
(la foto di copertina è di Raymond Burki, da "24 Heures" del 30 Marzo)