
C'è una data particolare da appuntare sui block-notes politici e sociali, o da cerchiare sul calendario con un pennarello rosso, una scadenza prossima ed importante: parliamo di Domenica 6 Maggio, e non solo perché è la prima Domenica del mese di Maggio. Sarà una Domenica particolare perché andranno alle urne diversi aventi diritto in Europa, in particolar modo in 3 paesi ove essi saranno chiamati a decidere la guida politica dello Stato nel prossimo quinquennio: stiamo parlando di Francia, Grecia e Serbia.
In Francia si deciderà il ballottaggio tra il Presidente uscente Nicolàs Sarkozy e la "rivelazione" della prima tornata Francois Hollande, leader dei socialisti. La vigilia del voto è stata scandita da guerriglie verbali tra gli avversari e da duelli a colpi d'inchiostro tra i principali quotidiani francesi e non, con l'Economist che ha addirittura definito Hollande come "un uomo pericoloso" per il suo paese. Al di là delle schermaglie dialettiche, appare discutibile che l'esito del voto possa alterare la posizione di forza e le scelte strategiche francesi nell'ambito dell'Eurozona. Sia Sarkozy che Hollande sono infatti d'accordissimo su temi di rilievo quali le politiche antimigratorie e l'obbedienza ai dogmi del neoliberismo europeo. Di recente Erik Izraelewicz, direttore del prestigioso quotidiano "Le Monde", ha sottolineato come i candidati abbiano furbescamente bypassato, in sede di campagna elettorale, tre temi cruciali: il lavoro, l'Europa e le politiche ambientali. Terreni, non a caso, sui quali si giocherà la longevità politica del vincitore, nonché il peso e la consistenza della Francia in Europa, dove, con Sarkozy, il paese transalpino ha svolto più il ruolo di vassallo della Germania che non quello di co-guida insieme al paese teutonico. Non è, dunque, un caso che Hollande riscuota simpatie anche da parte dei moderati francesi ed europei in genere; ed è altrettanto certo, pertanto, che da una sua eventuale (ed assai probabile) vittoria non debbano aspettarsi clamorose svolte a sinistra, in senso radicale.
Al voto corre anche la Grecia martoriata dal debito e dal sanguinolento piano di rientro dettato, ed imposto manu militari, dall'Europa. Se, da un lato, l'affluenza alle urne dovrebbe essere tra le più bassi di sempre nel paese ellenico, dall'altro la legge elettorale congegnata consentirà, proprio per questo motivo, la formazione di un governo di coalizione tra le maggiori forze politiche del paese, i conservatori di ND (Nuova Democrazia) ed i socialisti di Pasok, sebbene questi ultimi siano usciti con le ossa rotte dall'ultimo triennio, abbiano grosse responsabilità nella crisi e siano in calo continuo negli stessi sondaggi. Non stupisce, a tal proposito, la crescita esponenziale di consensi per partiti parafascisti quali Crisi Avgi (Alba d'Oro), che punta ad ottenere il suo primo seggio in Parlamento. Più defilato il KKE, il Partito Comunista, terza forza politica nell'attuale Parlamento, e fiero oppositore dei tagli al welfare, delle politiche antisociali e della permanenza nell'UE. Che ne sarà della Grecia dopo queste elezioni? Un dato va sottolineato: l'addio all'Euro ed il ritorno alla vecchia Dracma appaiono prospettive assai plausibili. Se ci si aggiunge l'allentamento del legame all'UE e il rientro (davvero reale?) nell'orbita della Russia, a cui guardano le forze di opposizione, il disegno è presto compiuto. Ma quest'ultima ipotesi appare remota: la Grecia, portata delittuosamente "per mano" ad un fallimento evitabile, spolpata e svenduta sino al midollo, corrotta nelle sue istituzioni e negli incarichi pubblici, dovrà ripartire dalle proprie macerie, al di là di qualsiasi dato politico. Non c'è voto che tenga.
Chi in Europa anela ad entrarci è la Serbia del premier uscente Boris Tadic, candidato al suo terzo mandato col DS (Partito Democratico). Fiero portabandiera dell'adesione, ha puntato in campagna elettorale proprio su questo slancio filoeuropeo e sulla necessità demagogica di risolvere la questione del Kosovo. Suo principale avversario sarà, almeno sulla carta, Tomislav Nikolic del SNS (Partito Progressista Serbo), le cui linee guida non si distaccano più di tanto da quelle dell'avversario. Anche in questo caso, dunque, l'avversario da sconfiggere sarà la disaffezione dei cittadini, a fronte di programmi elettorali che non sembrano tenere conto della gravità delle problematiche sociali.
(vignetta di Patrick Chappatte - The International Herald Tribune, 22/04/12)