
Un tripudio di commemorazioni e celebrazioni, come puntualmente accade il 27 Gennaio di ogni anno, per non dimenticare la tragedia dell'Olocausto. Un'occasione quanto meno nobile, certo, ma che puntualmente finisce per offendere la verità storica, il buon senso e la dignità di chi quegli orrori li ha veramente vissuti. Il pogrom contro gli ebrei, è del tutto evidente, è stata una delle più grandi, gravi tragedie che la storia abbia mai conosciuto. Un cataclisma forse senza paragoni. Ma, a ben vedere, c'è qualcosa di molto più losco in tutta questa retorica, un qualcosa che ha a che vedere con la struttura stessa del potere, la sua strategia di comunicazione ed i suoi gangli infernali.
La volontà tenace, l'insistenza nel voler cristallizzare quell'ignominia all'interno di un singolo giorno dell'anno, allo scopo di assolutizzarne il valore, costituisce un'operazione abominevole. Quel fatto stesso viene in tal modo ad essere astratto dalla sua realtà storica, che è anche, e soprattutto, realtà sociale, politica ed economica. In un simile contesto, è del tutto automatica la "reductio ad unum" dei crimini efferati del Nazifascismo al "solo" episodio dell'Olocausto. Come se nei campi di concentramento di Auschwitz, Bergen-Belsen o Buchenwald non fossero stati abbandonati al loro destino anche zingari, rom, dissidenti politici e comunisti, tutti uguali nella morte di fronte al delirio purista del totalitarismo. Come se le camicie nere del duce non avessero massacrato operai e dirigenti socialisti durante gli ultimi fuochi del Biennio Rosso e sbarrato le Camere del lavoro. Come se le cosiddette "leggi fascistissime" non fossero mai state emanate e, per ciò stesso, ogni forma di opposizione, politica e non, fosse sopravvissuta.
Se riducessimo tutto ciò che il fascismo ha commesso al solo Olocausto, daremmo un colpo mortale alla verità storica. E il primo errore sarebbe quello di considerarlo un semplice schema ideologico, astrarlo dalla sua realtà e dai suoi processi produttivi. In tal modo, sarebbe assolutamente facile "scorporare" il fascismo del Ventennio, dando adito a tutti i tromboni che si ostinano a parlare di un sedicente "fascismo buono". E così, mentre commossi ed esterrefatti ci accingiamo a celebrare l'ennesima Giornata della Memoria, allo stesso tempo volgiamo lo sguardo dinanzi all'oppressione, del tutto analoga, che vivono gli arabi di Palestina, soggiogati dal purismo altrettanto folle del sionismo israeliano, che nulla ha di diverso dal delirio nazifascista.
Se solo ci degnassimo di guardare alla Striscia di Gaza, ci accorgeremmo che i Palestinesi, il loro Giorno della Memoria (la Nabka), non possono nemmeno commemorarlo: gli è fatto esplicito divieto da una legge della Knesset israeliana. Ognuno, in fondo, è ebreo di qualcuno, sosteneva Primo Levi.