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Alcoa ed oltre, la resistenza e la solitudine

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Category: Editoriali
By Giovanni Apadula
Giovanni Apadula
13.Sep
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Il 4 Settembre del 1904 i militari dell'esercito di stanza in Sardegna uccisero tre lavoratori della miniera di Buggerru ferendone molti altri, in quella che è rimasta stampata nella memoria indelebile della storia sindacale come una vera e propria "Domenica di sangue": "l'eccidio di Buggerru". Quei minatori protestavano contro le condizioni disumane in cui erano costretti a lavorare, e fu proprio quell'eccidio a provocare, una decina di giorni dopo, il 16 Settembre, il primo grande sciopero generale di tutte le categorie mai convocato in questo Paese, partito, non a caso, da una terra che più di ogni altra è costretta a sopportare, per ragioni geopolitiche, angherie di ogni genere. A distanza di un secolo, le condizioni materiali degli operai in genere non sembrano essersi evolute più di tanto, all'infuori di qualche "vessillo" esteriore che il capitalismo democratico deve sacrificare all'altare del perbenismo civile.

Di certo, è mutato il quadro storico nel quale si dibattono le resistenze degli operai, alla luce di risvolti socio-economici e politici di diversa e secolare portata. Se allora era il "padronato" a far la voce grossa, non potendo ancora contare sulla forza politica di uno Stato in fase di formazione (ma militarmente attrezzato e già addestrato dai fuochi di Bava Beccaris), oggi è lo Stato stesso a farsi "caporale", decidendo arbitrariamente della vita e della morte dei propri lavoratori. La vicenda recente dei minatori sardi, e ancor più quella degli operai Alcoa, è quanto di più illuminante possa portarsi ad argomento, in questo senso. L'innominabile Presidente del Consiglio, uomo ferreo della Goldman Sachs, sta svolgendo al meglio l'incarico affidatogli, incentrato sulla deindustrializzazione progressiva di un intero paese, forte della longa manu di ufficiali e "caporali" fedeli, a cominciare dallo stesso amministratore delegato Fiat. Molti manager e "bocconiani" sostengono che mantenere in vita l'impianto verrebbe a costare oltre 250.000 euro all'anno per operaio. Peccato, poi, che non si spieghi perchè la situazione sia degenerata sino a tal punto, e come mai a pagarne le spese debbano essere sempre i lavoratori. Come se l'economia, autoregolandosi da sè, non abbia poi già condotto a sfaceli ancor più drastici e repentini.

Ma se le articolazioni storiche del capitalismo, siano esse i padroni, gli uomini di Stato e, oggi come oggi, troike ed organismi sovranazionali, svolgono al meglio e senza riserva alcuna il loro dovere di giustizieri del sociale, non può non sorprendere il disorientamento che aleggia sul fronte della resistenza operaia e della classe lavoratrice. E si tratta, senza dubbio, di una confusione figlia di molteplici ragioni: in primo luogo, la precarizzazione del lavoro che ha finito con l'accentuare la dimensione solipsistica del corpo sociale, creando frammentazione e mancanza di orientamento. Quanti operai, insomma, si trovano o si troveranno presto nelle stesse condizioni di quelli dell'Alcoa (e la nostra Provincia ne sa qualcosa)? Mancando la coesione di base, è di conseguenza la creazione di una sorta di pulsione alla competizione in ogni manifestazione delle relazioni sociali. Si tratta del gioco, perfettamente riuscito, dello spostamento del conflitto dal piano capitale-lavoro a quello lavoro-lavoro. In secondo luogo, è giusto sottolineare come queste colpe non siano attribuibili in toto alla stessa classe lavoratrice. La mancanza di una guida lucida e consapevole, come può essere un serio movimento di sinistra, è frutto dell'acquisizione da parte dei vecchi partiti comunisti del modus pensandi e perfino delle battaglie proprie della destra legalitaria. Un equivoco a sua volta figlio della perdita del primato culturale e, dunque, di una subalternità inesorabile.

Questo circolo vizioso viene ulteriormente ingrandito dall'abbattimento dei confini e dai meccanismi innescati dall'unione economica e monetaria. Mentre il capitalismo si "internazionalizza", i movimenti restano al palo. Con la conseguenza che la "macelleria sociale", per i tanti signori che ci governano, è solo una delle tante opere da museo delle torture.
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