Confesso di aver seguito il voto in Grecia con una certa attesa, mista a trepidazione, come purtroppo non capitava da qualche tempo a questa parte. Per una volte, forse, la triste e mentecatta pantomima dell'andirivieni alle urne avrebbe potuto produrre un risultato veramente storico, nel pieno significato politico, e soprattutto socio-economico del termine: una rottura, cioè, irreversibile rispetto al passato. Se davvero Syriza, il partito comunista guidato da Alexis Tsipras avesse avuto la meglio, ce ne sarebbero state delle belle.
Invece è successo che ND (Nuova Democrazia) è risultato il partito maggioritario che ora, con ogni probabilità, andrà a formare un governo di "salvezza nazionale" con i socialisti di Pasok. E c'è dell'agghiacciante e del grottesco letterario nel fatto che i due principali responsabili politici del collasso ellenico formino un esecutivo di "salvezza nazionale". Ciò detto, non va dimenticato il risultato straordinario ottenuto dai comunisti di Syriza, un 27% quasi commovente, e senza precedenti, che fa il paio col numero altrettanto emblematico dell'astensione dal voto: se un risultato c'è stato, si è trattato, per l'ennesima volta, della condonna alla logica elettoral-parlamentare incapace di reggere l'urto con le istanze sociali che pian piano prendono piede, specie in paesi dove i germi del fermento rivoluzionario cominciano a dare i primi frutti (piazza Syntagma come Occupy, come i ribelli di Santiago del Cile e i minatori asturiani). Nei giorni precedenti il voto, i giornali si sono arrovellati nel descrivere il clima, le ambizioni ed i progetti dei protagonisti della tornata elettorale. A modo loro ovviamente. E così Tsipras è stato descritto come un pomposo giovincello preso dalla smania di mollare l'euro, senza che se ne descrivesse uno straccio di programma; mentre l'"autorevole" Financial Times, la grancassa mediatica dei capataz della finanza, invitava i greci ad esprimere la loro preferenza per la ND di Samaras. Cosa che puntualmente si è verificata, con una buona fetta della popolazione spaventata dal ricatto della troika filtrato attraverso il messaggi sibillini fatti passare dai suoi organi di informazione prezzolati.
Perchè sarebbe stato interessante vedere Tsipras al Governo? Perchè, probabilmente, avrebbe potuto dare la stura ad una gestione politico-economica alla maniera "argentina". Una decina d'anni fa, come si ricorderà, l'Argentina aveva vissuto una crisi economica che ricorda molto da vicino quella in cui sono protagonisti la Grecia ed altri paesi dell'Eurozona mediterranea. Quella crisi latinoamericana traeva le sue origini dalle decisioni di un presidente peronista, Carlos Menem, che aveva agganciato il valore del peso, la moneta argentina, a quello del dollaro: una scelta salutata con ovazione da due dei peggiori usurai del pianeta, Fmi e Stati Uniti, e dai capofila dell'informazione assetata di sangue umano (El Paìs).
Quella decisione, per quanto positiva in un primo tempo, si rivelò disastrosa, drammatica nel lungo periodo. Diverse crisi devastano le nazioni emergenti, e nel '98 l'Argentina passa dalla crescita alla recessione. Dopo numerosi rimpasti di governo ed una crescità della povertà fino a soglie disumane, accentuata da tagli pressochè totali alla spesa pubblica, gli argentini decidono di ribellarsi: i sindacati di disoccupati e salariati, con le comunità contadine, si mobilitano (i cacelorazos); gli abitanti delle periferie bloccano le principali vie d'accesso, tanto che il governo Duhalde è costretto, nel 2003, a convocare nuove elezioni. Una movimentazione perfettamente analoga a quella degli ellenici di Salonicco e di Patrasso e degli abitanti di Atene, che dal quartier generale di Exarchia hanno esteso la loro protesta in tutto il paese. Dalle elezioni argentine emergerà come vincitore Nestor Kirchner, uno dei padri dell'America Latina integrazionista, il cui primo atto sarà quello di rilanciare il potere d'acquisto con l'aumento del 50% dei salari minimi e di mettere sotto controllo tutti i profitti dei capitali speculativi, nonchè di replicare con un deciso "nyet" a quel piano d'austerità del FMI che aveva messo in ginocchio un'intera nazione.
Le analogie, nelle vicende dei due paesi, sono inquietantemente evidenti. Anche la Grecia, come molti altri paesi dell'Eurozona, ha rinunciato al controllo della sua politica monetaria con l'adozione della moneta unica, proprio come fece a suo tempo l'Argentina. Ed i risultati di una simile scelta, indotti da un piano criminale che va avanti da anni, sono davanti agli occhi di tutti. Oggi la Grecia, domani forse la Spagna, con Portogallo ed Italia che non danno buoni segnali. Se con Tsipras, forse (il condizionale è d'obbligo), questo sanguinario disegno poteva essere deviato, ora non sembra esserci spazio per una simile ipotesi, nemmeno per la fantasia dei più speranzosi. A dominare la scena è sempre il potere con la sua faccia bancario-finanziaria, non pago di quell'orgia che Vassilis Vassilikos aveva descritto al tempo della dittatura dei Colonnelli. E la faccia dei tanti Grigoris Lambrakis assassinati da questo potere assume sempre più il volto dei poveri di Atene, di Salonicco, di una terra che ci ha regalato un bene che non abbiamo saputo difendere, e che spesso abbiamo interpretato malissimo: la democrazia.
Invece è successo che ND (Nuova Democrazia) è risultato il partito maggioritario che ora, con ogni probabilità, andrà a formare un governo di "salvezza nazionale" con i socialisti di Pasok. E c'è dell'agghiacciante e del grottesco letterario nel fatto che i due principali responsabili politici del collasso ellenico formino un esecutivo di "salvezza nazionale". Ciò detto, non va dimenticato il risultato straordinario ottenuto dai comunisti di Syriza, un 27% quasi commovente, e senza precedenti, che fa il paio col numero altrettanto emblematico dell'astensione dal voto: se un risultato c'è stato, si è trattato, per l'ennesima volta, della condonna alla logica elettoral-parlamentare incapace di reggere l'urto con le istanze sociali che pian piano prendono piede, specie in paesi dove i germi del fermento rivoluzionario cominciano a dare i primi frutti (piazza Syntagma come Occupy, come i ribelli di Santiago del Cile e i minatori asturiani). Nei giorni precedenti il voto, i giornali si sono arrovellati nel descrivere il clima, le ambizioni ed i progetti dei protagonisti della tornata elettorale. A modo loro ovviamente. E così Tsipras è stato descritto come un pomposo giovincello preso dalla smania di mollare l'euro, senza che se ne descrivesse uno straccio di programma; mentre l'"autorevole" Financial Times, la grancassa mediatica dei capataz della finanza, invitava i greci ad esprimere la loro preferenza per la ND di Samaras. Cosa che puntualmente si è verificata, con una buona fetta della popolazione spaventata dal ricatto della troika filtrato attraverso il messaggi sibillini fatti passare dai suoi organi di informazione prezzolati.
Perchè sarebbe stato interessante vedere Tsipras al Governo? Perchè, probabilmente, avrebbe potuto dare la stura ad una gestione politico-economica alla maniera "argentina". Una decina d'anni fa, come si ricorderà, l'Argentina aveva vissuto una crisi economica che ricorda molto da vicino quella in cui sono protagonisti la Grecia ed altri paesi dell'Eurozona mediterranea. Quella crisi latinoamericana traeva le sue origini dalle decisioni di un presidente peronista, Carlos Menem, che aveva agganciato il valore del peso, la moneta argentina, a quello del dollaro: una scelta salutata con ovazione da due dei peggiori usurai del pianeta, Fmi e Stati Uniti, e dai capofila dell'informazione assetata di sangue umano (El Paìs).
Quella decisione, per quanto positiva in un primo tempo, si rivelò disastrosa, drammatica nel lungo periodo. Diverse crisi devastano le nazioni emergenti, e nel '98 l'Argentina passa dalla crescita alla recessione. Dopo numerosi rimpasti di governo ed una crescità della povertà fino a soglie disumane, accentuata da tagli pressochè totali alla spesa pubblica, gli argentini decidono di ribellarsi: i sindacati di disoccupati e salariati, con le comunità contadine, si mobilitano (i cacelorazos); gli abitanti delle periferie bloccano le principali vie d'accesso, tanto che il governo Duhalde è costretto, nel 2003, a convocare nuove elezioni. Una movimentazione perfettamente analoga a quella degli ellenici di Salonicco e di Patrasso e degli abitanti di Atene, che dal quartier generale di Exarchia hanno esteso la loro protesta in tutto il paese. Dalle elezioni argentine emergerà come vincitore Nestor Kirchner, uno dei padri dell'America Latina integrazionista, il cui primo atto sarà quello di rilanciare il potere d'acquisto con l'aumento del 50% dei salari minimi e di mettere sotto controllo tutti i profitti dei capitali speculativi, nonchè di replicare con un deciso "nyet" a quel piano d'austerità del FMI che aveva messo in ginocchio un'intera nazione.
Le analogie, nelle vicende dei due paesi, sono inquietantemente evidenti. Anche la Grecia, come molti altri paesi dell'Eurozona, ha rinunciato al controllo della sua politica monetaria con l'adozione della moneta unica, proprio come fece a suo tempo l'Argentina. Ed i risultati di una simile scelta, indotti da un piano criminale che va avanti da anni, sono davanti agli occhi di tutti. Oggi la Grecia, domani forse la Spagna, con Portogallo ed Italia che non danno buoni segnali. Se con Tsipras, forse (il condizionale è d'obbligo), questo sanguinario disegno poteva essere deviato, ora non sembra esserci spazio per una simile ipotesi, nemmeno per la fantasia dei più speranzosi. A dominare la scena è sempre il potere con la sua faccia bancario-finanziaria, non pago di quell'orgia che Vassilis Vassilikos aveva descritto al tempo della dittatura dei Colonnelli. E la faccia dei tanti Grigoris Lambrakis assassinati da questo potere assume sempre più il volto dei poveri di Atene, di Salonicco, di una terra che ci ha regalato un bene che non abbiamo saputo difendere, e che spesso abbiamo interpretato malissimo: la democrazia.