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Il calcio ai tempi di scommessopoli e del giustizialismo

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Category: Editoriali
By Giovanni Apadula
Giovanni Apadula
07.Jun
Hits: 581
Qualche giorno fa ho avuto modo di leggere sull'inserto settimanale di un noto quotidiano nazionale un articolo relativo all' "inquinamento neoliberista" che ha subito il gioco del calcio, negli ultimi 25-30 anni in special modo. Si mettevano a confronto, in particolare, i risultati ottenuti nei più importanti campionati europei, ricavandone come le vittorie fossero, nel 90% dei casi, appannaggio delle squadre più titolate e rinomate. O per meglio dire, più ricche.

Ora, che il calcio fosse stretto, e non da poco, nelle inossidabili e tentacolari morse del capitalismo da strapazzo che domina il globo era cosa risaputa. Nè tantomeno dovevamo aspettare gli investimenti esorbitanti della nuova avanguardia d'antan che il pallone ha conosciuto: sceicchi e petrolieri, magnati e cavalieri. Questi ultimi, al limite, hanno contribuito ad inflazionare, ulteriormente, la deriva malsana dello sport più popolare. Che di grattacapi, anni orsono, ne aveva avuti a josa: dal totonero a Moggiopoli, passando per i corsi e ricorsi storici delle scommesse illecite, che oggi riemergono in tutta la loro prepotenza.

Del resto il calcio, proprio come la finanza globale, non ha speranze di fuggire da questo circolo vizioso: può scommettere chiunque, da qualunque posto e con qualsiasi mezzo, con la stessa facilità con cui gli squali dei palazzi borsistici drogano titoli e bonds, e le agenzie di rating bocciano, e ghigliottinano, interi paesi. Se il problema, dunque, è sempre sistemico (il calcio, così come è strutturato e con gli uomini che lo governano, non funziona), non bisogna per ciò stesso trascurarne la dimensione etica, più che morale, che ne è la prima conseguenza: possibile che questi miliardari pallonari non si riempiano mai la pancia? Una domanda, di prim'acchitto, immediata e del tutto comprensibile. In realtà, l'etica che pervade il mondo del calcio non è altro che una copia in carta carbone di quella che caratterizza il lavoro di molti "stimati" professionisti, dalla politica alla finanza, da tutta l'economia al mondo doratissimo dell'informazione. Non è forse vero che massoni internazionali e finanzieri speculatori drogano la loro merce, che amministratori e lacchè al servizio di lobbies ed interessi sovrastatali piegano la politica alle logiche dei propri mandanti? O che colossi dell'informazione si sfidano tra loro in guerre cartacee a colpi d'inchiostro, per poi scambiarsi dolci effusioni sul piano pragmatico dell'industria editoriale? Sia chiaro, occorre tenere ben distinti i due piani della riflessione: ciò che emerge dalla nuova tornata relativa a scommessopoli è disdicevole e disgustoso. Ma fare del calcio l'unica ed esclusiva pietra dello scandalo è un'operazione di lurido abominio.

Il calcio è, per i protagonisti della vita politica, argomento e fenomeno troppo importante per non parlarne, e non strumentalizzarlo a scopo di propaganda: basti pensare al putiferio scatenatosi dopo le dichiarazioni sulla magistratura di Buffon. Senza dimenticare gli eccessi e le uscite a vuoto di cui spesso è stato protagonista, il portiere ha sollevato comunque un problema che molti fanno finta di non ascoltare: quello relativo al corto circuito tra media e mondo della giustizia. Buffon si è lamentato della eccessiva "spettacolarizzazione" operata dal mondo dell'informazione in ordine a processi, interrogatori, incontri in procura, in generale intorno ad eventi di ordine processuale, molto spesso riservati o addirittura top secret. Il giorno immediatamente successivo a queste dichiarazioni, ecco la notizia di un'informativa della GdF relativa ad alcuni movimenti di denaro sospetti del Nostro, risalenti al 2010, ed in ordine ai quali il portiere non era, e non è, indagato. Perchè, insomma, rendere pubblica una notizia di questo tipo, per di più giuridicamente irrilevante e risalente nel tempo? Che si tratti di un avvertimento? E soprattutto perchè difendere ad oltranza un ordine, quale quello giudiziario, ormai pienamente protagonista delle lotte intestine al potere in Italia, senz'arma alcuna che non sia quella di un integralismo "travaglino", tipico da stato di polizia?

Sul calcio, insomma, molti ci vivono, parecchi ci guadagnano, soldi e consensi; altri ci sognano, piccoli e grandi. Ma Mario Monti, uno che sta al popolo proprio come la finanza sta alla generosità, propone addirittura di fermare il calcio per 2-3 anni. Di togliere, cioè, al popolo una delle poche distrazioni oniriche che ormai gli restano: quella di dimenticarsi per 90 minuti di tutte le proprie magagne e di deporre nel cassetto rateizzato delle scadenze la mole massiccia dei propri debiti. Avanzare una simile idea rende perfettamente l'immagine del losco figuro, che nessun voto ha posto alla guida di questo paese: quella del potere che ben conosce il suo cinismo omicida, e che è ben attento nella ponderazione del calcolo politico. Talmente attento da non privare la massa di una delle poche cose per le quali si rivolterebbe: l'oppio.
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