EDITORIALE. Nel giorno in cui riaprono le scuole, almeno nel nostro comprensorio, sembra superfluo ricordare la smania che l'attuale classe dirigente, non solo italiana, ma continentale, ha di voler ridurre l'Università e l'istruzione tutta a brandelli di cultura enciclopedica e piuttosto autoreferenziale. Che tutto sia precipitato all'alba del Berlusconi-ter è un dato di fatto, ma la strada era già stata preparata da riforme dissennate dei governi di centro-sinistra (ricordiamo la inintelligibile "riforma Rutelli"). Con la c.d legge Gelmini e la legge 133/2008, l'attuale esecutivo ha in sostanza ridotto personale didattico ed ore di lezione, tempo pieno, stipendi e stanziamenti; ha dato la stura alla genesi di classi iperaffollate e classi riservate agli immigrati, sulla scorta dei CPT più volte stigmatizzati dai principali organismi internazionali a tutela dei diritti umani. Si tratta di una deriva che risponde ad una tendenza ben precisa ed inquadrabile: la gamma di privatizzazioni/liberalizzazioni sulle quali ha investito l'UE allo scopo di evitare l'ennesima crisi ciclica del sistema capitalistico, scaricandone i costi sui servizi per i cittadini. Si può davvero immaginare un' Università, una istruzione privatizzata? In tal modo, la didattica viene a dipendere dai capitali privati, con tutto ciò che ne consegue sul piano dell'obiettività e della completezza dell'insegnamento. In secondo luogo, non vengono approntati, a livello di diritto positivo, meccanismi in grado di contenere l'impennata verso l'alto delle imposte versate dagli studenti: non è un caso che, già nel corso dell'ultimo anno accademico, le tasse di iscrizione siano aumentate nella misura media del 30%, secondo una logica tipocamente aziendalistica. In un paese dove 6 milioni di cittadini sono analfabeti e quasi 15 sanno a malapena leggere e scrivere, introdurre un regime elitario (dal punto di vista economico, strategico, gestionale) dell'istruzione è davvero la scelta più azzeccata? Il sistema attualmente in vigore, che rischia di essere ulteriormente problematizzato dalla riforma economica allo studio della Camera, blocca di fatto anche il turn-over dei docenti, ossia il loro ricambio fisiologico (1 su 5 nel 2010-2011). I dati Ocse sottolineano un altro parametro allarmante: in Italia il rapporto tra numero di studenti e numero di docenti è di 20,4. Se il numero di studenti resta invariato, ma diminuisce progressivamente quello dei docenti, questi ultimi saranno costretti a raddoppiare il tempo dedicato alla didattica, a scapito dell'attività di ricerca. Ed anche su quest'ultimo punto, dolenti sono le note. La ricerca, infatti, dovrebbe rientrare nella competenza pressochè unica ed esclusiva del ricercatore, il quale è tuttavia costretto a dedicare il 30% del suo tempo all'attività didattica a causa della latenza del turn-over tra i titolari ordinari di cattedra. Il sistema così introdotto dalle riforme del Governo Berlusconi è tuttavia estremamente complesso, perchè potenzialmente idoneo a perdersi nel prolisso reticolo normativo che lo disciplina. Come sottolineato da Walter Tocci "i professori invece di fare didattica passeranno il tempo a scrivere regolamenti e destreggiarsi nel caos amministrativo che deriva dall'improvvisa riscrittura di tutti gli ordinamenti". Il rischio più concreto è che tutti gli atenei diventino delle copie perfette in carta carbone: l'alibi della norma, infatti, toglie responsabilità al merito, ed all'onere, delle scelte. La burocrazia rischia di frenare i veri innovatori e riformatori del sistema scolastico-universitario, attentando al presidio che la Costituzione assicura al regime dell'istruzione. E' una crisi dalla quale l'Università deve saper uscire con le proprie gambe, nel marasma politico-giuridico che ormai investe gli atenei di tutta Europa. E non chinando la testa, come più volte sembra aver fatto la Crui, magari in cambio di qualche spicciolo. La democrazia si fonda sull'istruzione e sulla cultura, e l'istruzione dev'essere di tutti, come sancisce la Carta Fondamentale. Un'istruzione autoritaria non può che preparare ad una società autoritaria. Non sarebbe democrazia, se non puoi permettertela: è davvero a questo punto che vuole arrivare la nostra coscienza civile?
Il presidente tiranno

Donald Trump sta sfidando le peggiori categorie più consolidate della politica tradizionale,
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